Quante volte diciamo “ti amo” nella vita?
Non contano i “ti amo” buttati in mezzo ad una frase tanto per dire, ma quelli detti sul serio, con il cuore che batte a mille, le pupille dilatate e le farfalle nello stomaco.
La tesi di Amy consiste nel fatto che i bambini lo dimostrano più frequentemente, attraverso l’affetto e la sincerità, gli adolescenti lo sussurrano sotto voce, ancora increduli di ciò che provano e un po’ timorosi nel dare il loro cuore in mano a qualcun altro, mentre gli adulti sono un genere a sé. Alcuni pretendono di basarsi sulle esperienze, più o meno negative, che si portano alle spalle facendo in modo, molto spesso, che quelle tre paroline non vengano mai più pronunciate e finiscano nascoste sotto pile di scuse e menzogne, a prendere polvere in un angolo remoto di sé.
Qualche giorno prima, mentre Amy stava parlando con una sua amica, si era decisa a chiederle di punto in bianco: «Secondo te cos’è l’amore?»
L’amica l’aveva osservata come si guarda un pazzo o qualcuno che non sa bene ciò che sta dicendo e le aveva sussurrato: «A me lo chiedi? Dovresti essere tu a dirmelo».
Amy l’aveva guardata con fare assente e poi si era girata verso la finestra aperta, come faceva sempre quando pensava ad una risposta sensata da dire.
Con fare deciso aveva risposto: «L’amore è un uomo che sta seduto in un bar la mattina prima di andare al lavoro, pensa alla carriera e alla Gazzetta sportiva che tiene tra le mani mentre sorseggia il suo caffè. Sente di essere soddisfatto, non ha bisogno di nulla. Ad un tratto, però, la porta del bar si spalanca e lei entra. In quel momento lui sa che nulla sarà mai più come prima». L’amica l’aveva guardata dubbiosa: «Beh allora non resta che scoprirlo», le aveva detto con un sospiro.
Quel pomeriggio Amy tornò al bar. Lo trovò al solito posto, con in mano un caffè e la Gazzetta sportiva aperta alla pagina dei risultati del campionato.
Mark teneva gli occhi fissi sulla Gazzetta anche se non la stava leggendo realmente. Mentre sorseggiava il suo caffè ripensava alla ragazza che aveva intravisto il giorno prima e di cui aveva incrociato lo sguardo. Gli aveva sorriso e lui era rimasto colpito dai suoi occhi sereni e remoti.
La sentì entrare nel bar con un brivido, come se improvvisamente stesse respirando aria fresca, e si voltò a guardarla.
Lei indossava un vestitino azzurro, con una gonna lunga. I capelli a caschetto le mettevano in risalto il viso, mentre gli occhi verdi brillavano.
«Indossa i colori del cielo e delle foglie scosse al vento», pensò, e sentì abbattersi tutte le barriere.
«Tu sei una creatura eterea, non puoi stare nel chiuso di un bar, – riuscì a dirle quasi con timidezza – perché non usciamo a fare una passeggiata all’aria aperta?»
Lei accettò con un sorriso.
Mentre camminavano Amy lo prese sotto braccio, con una confidenza che lo stupì piacevolmente, e cominciò a raccontargli della sua passione per il pianoforte che suonava fin da piccola. Le piaceva moltissimo ascoltare i suoni che le sue dita creavano solo sfiorando i tasti di quello strumento. Potevano essere brividi o lacrime le sensazioni che trasmetteva ogni volta che le note entravano nella sua anima.
Mark, si scoprì a desiderare di riuscire a parlarle di sé.
Negli anni aveva costruito attorno a sé così tanti muri da non riuscire più a fidarsi di nessuno. Preferiva non entrare troppo in sintonia, in confidenza con nessuno.
In quel momento, tuttavia, le cose avevano cominciato a cambiare e le sue nubi interiori a diradarsi, spazzate vie dalla brezza degli occhi di lei.
Come leggendogli nella mente, lei gli chiese: «Cosa c’è che ti turba dietro tutta questa imperturbabilità di cui ti travesti? Continui a dire che sei felice, che non hai bisogno di nulla, ma sento in te una malinconia e un dolore profondi. Confidati».
La voce gli uscì come un fiume in piena: «Sono stato ingannato e ferito molte volte, soprattutto da una donna con cui pensavo sarebbe stato per sempre. Così mi sono creato una nuova routine e sto molto bene, sono felice».
«Ma ti manca qualcosa – Amy lo riprese subito prima che lui lasciasse cadere il discorso – sogni una famiglia».
Mark sussultò, si chiese come lei avesse fatto a intuire il suo più grande rammarico.
«Puoi farcela, Mark. Puoi trovare qualcuna che ti restituirà amore e fiducia. Devi solo crederci», lei sussurrò.
Mark chiuse gli occhi per un istante, sentendo che si stavano riempiendo di lacrime.
Quando li riaprì, lei era sparita, come rapita da un turbinio di vento.
Non la rivide mai più.
Amy entrò in ufficio e la sua amica, Malinconia, l’accolse con un sorriso languido: «Alla fine il tuo assegnato ce l’ha fatta, ha trovato una persona che lo ama e lo rende felice. Il capo apprezzerà l’esito positivo di questa tua missione».
Per la prima volta Amy sentì il peso del suo lavoro: interagire con gli umani salvandoli dalle loro stesse emozioni.
Alzò le mani verso l’alto e creò un vortice d’aria. Ci guardò dentro e vide Mark sorridente accanto a una donna. Questa volta c’era mancato poco che si affezionasse sul serio, o forse quel confine lo aveva superato e le faceva male sapere che la sua corsa verso la felicità non aveva mai pace, ogni missione andata a buon fine rendeva felice sempre qualcun altro e lei si ritrovava di nuovo al punto di partenza.
Il capo la richiamò all’ordine: «Ti sei meritata una pausa, ma non dimenticarti di chi tu sei, mi raccomando Amore, o Amy come hai deciso di farti chiamare tra gli umani».
Amore pensò che, forse, l’amore per gli umani è un’emozione temporanea, che li fa sentire vivi anche solo per un momento e che poi, con il tempo, si trasforma in qualche altro suo collega: Affetto, Stima, Fiducia.
«Chissà se il mondo degli umani differisce così tanto dal mio», si chiese mentre camminava verso casa. Una figura le si mise di fianco, la guardò con fare disinvolto e le si presentò: «Mi chiamo Disillusione, ti andrebbe di prendere un caffè?»
Amore esitò ma poi, sentendosi a suo agio, lasciò da parte il suo lato più romantico e innocente e accettò la proposta. Era arrivato il tempo di crescere.
La Fiamma del Drago
Un tuono. Un fragore improvviso che squarcia l’estate, il cielo si richiude su se stesso catturando l’aria sotto al suo mantello. Cala una notte cupa e inattesa che impone le sue leggi, spegnendo il tramonto con un soffio di aria fredda.
Una fila vociante di bambini varca la porta della biblioteca, accompagnati per mano dai grandi che, chiacchierando fra loro, di tanto in tanto si distraggono e si lasciano sfuggire qualche rincorsa e spintone. Sfilano uno dopo l’altro davanti al bancone dietro al quale, rigida nella sua postazione, Malva li osserva. Cerca di rimanere seminascosta dalla pila di libri da catalogare, non può sottrarsi però al saluto cordiale di alcuni dei frequentatori più abituali. Per quanto si sforzi di risultare antipatica, col desiderio di essere lasciata in pace a rimuginare sul suo passato, c’è sempre qualcuno che si mostra lieto di incontrarla.
Ormai consumata dal disappunto a Malva risulta sempre più difficile comprenderli. Non sembra anziana, forse dimostra una certa età per via del suo modo di vestirsi così intessuto di trascuratezza e insoddisfazione. Tuttavia ogni congettura sui suoi anni si rivela inutile, più che un segreto ben tenuto la data della sua nascita ha tutte le sembianze di un autentico mistero, come se si parlasse di epoche lontane.
Dall’altro lato dei suoi occhiali i bambini corrono verso l’angolo dei giochi, cercano il loro preferito rovistando nelle ceste, ridono del loro disordine mentre le chiacchiere degli adulti formano un costante brusio. Malva ne ha vista tanta di confusione nella sua vita, non è il trambusto a disturbarla, ma spensieratezza e gioia, certa ormai che i suoi giorni lieti se ne siano andati e non ritorneranno più. Non sopporta le aperture serali della biblioteca, ma non può negare che qualche ora di straordinario le faccia comodo. Un altro rimpianto, mai nella sua esistenza ha dovuto preoccuparsi della sua sopravvivenza, come in questo tempo.
Il tormento di tali emozioni rimbomba tra le sue tempie. Mentre osserva le persone che affollano la biblioteca solleva un sopracciglio, il destro, ma non per qualche inconscio riflesso, nessuna delle azioni da lei compiute è mai stata involontaria. In quello stesso istante un tuono tremendo fa tremare i vetri della stanza, una pioggia nera comincia a battere sui muri ammutolendo il mormorio delle voci all’interno. Gli adulti si affrettano a salutare i bambini e corrono via, verso i portici al di là della strada.
Rimane soltanto un ragazzo insieme ai piccoli avventori, li richiama intorno a sé e li fa sedere su un tappeto, circondati da giocattoli di legno e libri colorati.
“Questa sera raccontiamo una storia… la volete sentire?”
“Sìììì!” Rispondono in coro i bambini.
“Questa però non è una storia come le altre, lo sapete perché? È una storia vera…”
“Le storie non sono vere!” Commenta una bambina.
“Chi lo può mai dire? È successo tanti anni fa, qualcuno ci crederà, qualcuno no.”
Lo sguardo di Malva si sporge oltre lo schermo del computer, curioso di ascoltare.
“Lo sapevate che mille anni fa, proprio dove oggi si trova il vostro paese, si estendeva un’immensa palude, la terra era ricoperta da un velo d’acqua da cui emergevano isole, umide boscaglie e canneti, formando un intricato labirinto dove si procedeva solo a bordo di lente imbarcazioni con il fondo piatto. Una volta avventuratisi in mezzo agli acquitrini era difficile orientarsi e si potevano perdere i punti di riferimento, rimanendo invischiati fra vegetazione e fanghi insidiosi. Le acque si estendevano per chilometri e chilometri, la palude diventava un lago immenso su cui la nebbia non si sollevava mai. Gli abitanti delle città, Lodi, Crema, Cassano, al sicuro dentro le loro spesse mura di pietra, lo chiamavano Lago Gerundo.
“Questa brava gente, rispettosa delle leggi e osservante dei precetti religiosi, si guardava bene dall’inoltrarsi oltre le rive del lago. Sapeva che al di là di quel muro di quel muro di nebbia si aggiravano spettri, un popolo che parlava una lingua antica, venerava déi pagani e offriva sacrifici al Drago. Il nome di questa temibile creatura era…”
“Tarantasio…” Sussurra Malva allo scoppio lontano di un nuovo tuono.
“Tutti quanti sappiamo che cosa si fa quando un paese è infestato da un drago, giusto? Bravi, si chiama un valoroso cavaliere per ucciderlo e liberare il contado dall’orrendo flagello. Volete sapere come si chiama l’eroe che sconfisse Tarantasio? Non ve lo posso dire, poiché nessun avventuriero che si fosse inoltrato nel Gerundo a caccia del mostro è mai tornato.
“Nel corso dei secoli il lago è stato bonificato, vuol dire che sono stati scavati dei canali che hanno permesso a tutta l’acqua di defluire, lasciando al suo posto una grande e fertile pianura. Forse il Gerundo si è portato via con sé il suo terribile drago, chi potrà mai saperlo? Scomparve così, senza lasciare traccia.”
Un nuovo boato fa sussultare i bambini sul tappeto, una lama di luce strazia quel buio corporeo che inghiotte il mondo oltre i vetri delle finestre. Le lunghe lampade al neon sul soffitto della biblioteca emettono un inquietante ronzio fino a spegnersi. Per un momento vi sono solo buio e silenzio, poi qualche bambino comincia a gridare ma il ragazzo li rassicura, non è successo nulla, è solo un’interruzione dell’elettricità.
Un bambino si alza e cammina verso il banco dei prestiti. Malva lo sente arrivare, piccolo e impaurito ma determinato a non lasciarsi sopraffare dall’oscurità che lo circonda. Si avvicina alla bibliotecaria, avverte soltanto il profumo erbaceo dei suoi vestiti, la sente che armeggia con alcuni oggetti finché come per incanto i suoi occhi increduli tornano a vedere.
Ciò che scorge è il volto della bibliotecaria rischiarato da una luce tremolante, le sue labbra contratte soffiano piano sullo stoppino di una candela. Non ha in mano altro che questa, il suo respiro calmo, infuocato,e la fiamma che divampa davanti alla sua bocca.
L’Uomo del Vento
If it hadn’t been for Cotton Eye Joe
I’d been married long time ago
vecchia ballata degli anni Novanta
Alla gente di qui non piace il vento, forse perché è segno del tempo che cambia. Ecco, in questo quel diavolo di Joe è diverso dagli altri, lui non si affida alle previsioni del meteo, ma segue liberamente la direzione di cicloni e anticicloni.
Qualche giorno fa è ricomparso dal niente, da quella sconfortante mancanza di risposte che se l’era portato via. Il suo passo sprezzante contro il sole estivo, si è guardato intorno pensando a quanto fosse cambiato il paese dal giorno in cui se n’era andato. Ha proseguito attraverso la piazza con una smorfia compiaciuta.
Ho riconosciuto all’istante la sua andatura invulnerabile, da autentico pistolero. Ho posato il Campari sul tavolino e ho alzato il braccio per attirare la sua attenzione. Ho sentito risorgere quella sensazione lontana nel tempo, di incontenibile bisogno di avere la sua attenzione, da cui nessuno di mia conoscenza è mai stato immune.
Mi è venuta una voglia matta di ridere. Joe mi ha notato e il suo passo si è fatto più rapido, ha attraversato tutta la piazza nella mia direzione. Avvicinandosi ha calpestato sguardi come blocchetti di porfido, la gente di qui ha la tendenza a dimenticarsi del passato, tanto più se si offre loro da bere, ma non sempre.
Ho visto Joe guardarsi intorno con quei suoi occhi marroni sempre fissi sul mondo, e il sorriso aperto di chi crede con fiducia nel minuto successivo. “Hey!” mi ha gridato “Non posso crederci, sto via trent’anni e ti ritrovo esattamente come ti ho lasciato! Cioè seduto a bere, ma qui è incredibile, è cambiato tutto…”
“Ciao Joe…” ho risposto “Hai ragione, la piazza e i palazzi sono recenti, danno al posto un’aria più rispettabile.”
Si è seduto davanti a me e ha chiamato la ragazzina in shorts per ordinare una birra.
“Dimmi di te, che combini?”
“Le solite cose, e tu? Sei scomparso, non mi sarei mai aspettato di…”
“Ridendo e scherzando, trent’anni… ero partito per quella corsa di moto, in Romagna, poi ho lavorato, sono stato molto molto impegnato, mi sono concentrato sulla carriera sai… mi sono fatto strada nella vendita di ricambi e da lì ho cominciato a viaggiare, anche all’estero, soprattutto Spagna.”
“Quindi… ti sei rifatto una vita?”
“Ma no, che dici? Non mi sono mai fermato, sempre a pensare al lavoro, oggi qui, domani là… quando lavori così poi i risultati cominciano ad arrivare, si guadagna bene nel mio settore se sei bravo.”
“E adesso che fai?”
“Ho ancora qualche aggancio in giro, clienti di lunga data, ma sto rallentando, sai? Vorrei dedicarmi di più a me stesso, ritagliarmi i miei spazi, ma… a proposito… che cosa mi racconti di Dina, sta bene?”
“Mi stai davvero chiedendo di Dina?”
“Sì… lei è ancora qui in paese? Vi vedete ogni tanto?”
“Sempre…”
“Meno male, la vorrei vedere!”
“Calmati Joe, sono trent’anni che non ti fai vedere, abbi pazienza…”
“Io questa cosa te la devo dire, e la posso dire soltanto a te, ci conosciamo da un’intera vita e sai bene come e perché. La conobbi all’inizio del tempo, poi un giorno la vidi per la prima volta, aveva avuto il permesso di rimanere fuori la sera e si era cambiata appena uscita dalla porta. Stava ridendo insieme agli altri, appoggiata al parapetto bianco e nero di un piccolo fosso che attraversava il paese, fin da quel momento e in tutti gli altri attimi della sua vita Dina sarebbe stata più grande di quello che in realtà era. E non parlo solo di un bacio di rossetto o di stivali alti, ma di quell’allegra sofferenza che le galleggiava negli occhi. Come arrivai al ponte vidi i sorrisi delle ragazze brillare, emettere scintille flebili come lucciole d’estate. Dina osservava nella stessa direzione delle altre sue amiche, quindi guardava me, dissi così la prima frottola che mi passava per la testa per distrarla dal tremore delle mie gambe. Quella però era la giovane donna più straordinaria che avessi mai incontrato, ascoltava le mie chiacchiere senza perdersi uno solo dei brividi che affioravano sulla mia pelle.”
“Va bene Joe…” l’ho interrotto “Ma non penso che Dina abbia così tanta voglia di rivederti…”
“Perché dici così? Sono ritornato perché non è mai passato giorno senza che pensassi a lei!”
“Sei partito una mattina dicendole che saresti stato via soltanto per un fine settimana, e da quel momento non ti sei più fatto né vedere né sentire. Le hai distrutto la vita e dopo qualche mese, è nato suo figlio. Che cosa hai pensato quel giorno, Joe? Che cosa ti è successo, chi hai seguito?”
Joe si è ammutolito e la sua faccia è diventata scura, di una tristezza limpida e chiara, che non può somigliare ad altro che a sé stessa.
“È difficile dirlo, forse mi sono reso conto che avevo bisogno di cambiare aria.”
“Le avevi promesso che sareste stati insieme…”
“Lo so, ho sbagliato, chissà se potrà mai perdonarmi. Hey! Mi faccio portare un’altra birra, la settimana scorsa sono andato dal medico, e non mi ha dato una buona notizia.”
“Non dirmi più niente Joe, dillo a lei… Dina sta arrivando.”
È comparsa sotto al portico con i capelli raccolti, la pelle abbronzata ed un vestito leggero, ha salutato con un sorriso i vari tavoli che piano piano si stavano riempiendo per l’aperitivo. Non è soltanto bellissima, ha anche un cuore enorme, due occhi che malgrado il tempo non mi hanno mai perso di vista. Pensando rapidamente a come cavarmela in quella situazione paradossale, cercando le parole migliori per accogliere tutti in uno sconclusionato viaggio nel tempo, ho sentito alzarsi un soffio di brezza, un sollievo quantomai agognato in una giornata così calda. Mi sono voltato, ma Joe se n’era già andato via.
IL MIO AMANTE
Il mio amante ha la fragranza di un biscotto appena sfornato. Mi inebrio della sua pelle di seta, il suo abbraccio mi avvolge in una nuvola di cacao. Scendo negli abissi attraverso i suoi occhi di carbone, i suoi denti aguzzi di cucciolo gli illuminano il viso. Gli sto insegnando a sorridere.
Labbra fatte per baci voluttuosi come non ne ho avuti mai e muscoli come anguille che risvegliano emozioni sepolte nel mio cervello preistorico.
Non è un musicista, non è un creativo, non è un accademico, eppure mi ha catturato. Ė un interessante ambasciatore di un altro mondo che mai avrei pensato mi sarebbe stato dato un giorno di conoscere.
Ogni tanto non ci capiamo, ci incartiamo, ci scontriamo perché in quest’era fatta di messaggi virtuali le parole non sempre sono sufficienti. Servono sguardi, mani, ore passate insieme, fili d’argento tesi da ombelico a ombelico a collegare anime affini.
Il tempo insieme è un ruscello che scorre impetuoso, il nostro rapporto ha carattere torrentizio.