L’IMPORTANZA DELL’ACQUA

Stavamo viaggiando in quel deserto di neve e ghiaccio da quattro giorni. Avevamo esaurito le scorte di cibo e acqua, il gas era agli sgoccioli e anche i cani erano affaticati.

Di quel passo, avremmo raggiunto la postazione del Centro Ricerche sul Clima a Irkutsk di lì a novantadue ore. Io non ce la facevo più: volevo sdraiarmi sulla slitta e addormentarmi senza pensare più al nostro sfortunato progetto, partito male e proseguito peggio, incagliatosi in una serie di ostacoli prima politici, poi economici e amministrativi, infine logistici e tecnici.

Delle tre ricercatrici internazionali, ero l’unica che era rimasta. Avevo dovuto subire le battute sarcastiche e sessiste dei miei compagni di squadra, ma la mia determinazione e l’abitudine a farmi scivolare di dosso le offese come acqua sulla roccia mi aveva anche guadagnato una certa considerazione.

A differenza delle altre che avevano abbandonato, non avevo una famiglia a cui rendere conto, un marito da cui tornare, dei figli a cui dover dare sicurezza, nemmeno dei gatti abituati a dormire sul mio letto la notte, non più.

Negli ultimi dieci anni la mia vita era la ricerca; il progetto sulla memoria dell’acqua iniziato da Masaru Emoto nel secolo scorso aveva guadagnato credibilità e finanziamenti, i progressi teorici della fisica quantistica avevano dimostrato l’indimostrabile, ora anche le aziende e i governi intravedevano un futuro di potenziali applicazioni commerciali e avevano cominciato a sciogliere le loro riserve.

Il paradosso è che eravamo circondati da acqua ed eravamo tutti disidratati. La sete ci accompagnava dal risveglio all’alba a quando ci fermavamo nelle basi di sosta al tramonto.

Avevamo sbagliato strada per un malfunzionamento della bussola e lo scioglimento del permafrost aveva modificato l’assetto dell’enorme lastra di ghiaccio su cui scivolavamo con le nostre tre slitte, determinando un allungamento del percorso di due giorni. Il gas che ci permetteva di sciogliere il ghiaccio per bollirlo e ricavare acqua potabile era insufficiente per tutti. Dopo due giorni, resosi conto dell’errore, il capo-spedizione aveva deciso di razionare l’acqua: a ognuno di noi spettava mezzo litro di acqua a testa al giorno. Tutti erano molto disciplinati e osservavano scrupolosamente le indicazioni, ma si percepiva un’aumentata irritabilità e una certa stanchezza negli equipaggi.

Al briefing preparatorio avevamo imparato che era sconsigliabile far sciogliere in bocca direttamente la neve cruda, per via dei potenziali patogeni, se non volevamo finire come Rosanna Benzi, che contrasse la poliomielite a tredici anni e visse il resto della sua vita in un polmone d’acciaio. Morì a quarantatré anni.

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