Foglie di fantasia

Oggi, passeggiando lungo i viali alberati del paese, non ho resistito alla tentazione di raccogliere dal terreno qualche foglia d’autunno:  poche, per la verità e bagnate, sporche e quasi sfaldate dalla pioggia caduta incessantemente. Da tempo desideravo fortemente riuscire a scrivere su questi organi vegetali una frase, un saluto, un pensiero poetico; poi, avrei fatto una sorpresa donandole, o abbandonandole in luoghi  quali: l’ingresso del palazzo, le panchine, il bancone della biblioteca e, perchè no?, la sala d’attesa del dentista.

Con estrema delicatezza, quasi cullandole, mi sono portata a casa queste creature: le ho asciugate, ripulite con molta cura, stando sempre attenta che non mi si accartocciassero tra le dita.   Dall’angolo giochi destinato ai nipoti, e pure a me, ho sfilato astucci contenenti un’infinità di penne biro, matite e pennarelli. Usando proprio questi ultimi ho tentato di vergare la foglia più rovinata, fallendo l’esperimento; con l’uso di una penna biro invece sono riuscita nella fantastica impresa, ma limitatamente a quattro foglie.  Nella mia insanabile presunzione, supportata anche da una recente, indesiderata, sbadataggine, ho vissuto uno scarto del battito cardiaco: momenti carichi di pura gioia, incredulità.  La “mia” piccola opera si presentava ben riuscita, originalissima, praticamente una “meraviglia”.

Mi apprestavo ad imbandire la tavola per i festeggiamenti, con un sottofondo musicale fin troppo allegro, quand’ecco che venivo trafitta in modo umiliante, inatteso e inopportuno dalle immagini della Sibilla Cumana proiettate da un angolo remoto della mente. In gioventù avevo letto molto di questa donna famosa e misteriosa, rimanendo affascinata dalla sua storia, o leggenda?

Dopo lo smacco lacerante subito, con conseguente abbassamento di autostima, sono stata costretta a fare indietreggiare questa nonna creativa, esuberante e volonterosa per onorare la Sibilla di Cuma,  Somma sacerdotessa, oracolo del dio del sole Apollo, e di Ecate dea della luna.  Era lei la donna prescelta dagli dei a cui, in tempi antichissimi, era stato fatto dono di esercitare facoltà e potere di profetare in modo, più o meno enigmatico e alquanto oscuro, predicendo l’avvenire. Era lei che usava trascrivere i vaticini proprio sulle foglie degli alberi, disperdendole e sparpagliandole poi nell’aria.    Al fine di poter leggere ed interpretare il suo responso bisognava pazientemente raccoglierle insieme, ma, dal momento che il linguaggio degli oracoli non è comune al nostro, non si preoccupava di porre spazio o punteggiatura alcuna tra un vocabolo e l’altro: quindi ogni risposta doveva essere pazientemente, faticosamente e opportunamente decifrata.

Tra molti altri volumi, da qualche parte nell’appartamento in cui vivo, sospetto si nasconda un libriccino, forse in pessime condizioni, contenente un “Metodo” corredato da numerose tabelle di frammenti di responsi, tutti da interpretare, per interrogare la Sibilla Cumana.

Ecco, ora mi servirebbe proprio quel libriccino. Devo andare a scovarlo, non certo con l’intenzione di consultarlo quanto per seppellire al suo interno la mia creazione: quattro delicate foglie autunnali, fantasiose e tutt’altro che sibilline.

 

P.S. Nell’album-foto del cellulare, ad uso conforto personalissimo, ne ho archiviato il ricordo.

4 ottobre 2019

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