“Così, tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare” (Giacomo Leopardi)
Accovacciata su un vecchio divano consunto, osservo la stanza che, al lumino tremolante della candela, poco alla volta mi si svela intorno: qualche mobile muffito, oggetti promiscui dimenticati con pigrizia, una bici sgangherata, scatoloni gonfi di ricordi… lo squallido ambiente è perfettamente consono all’odore di polvere stantia che emana.
Srotolo il sacco a pelo. Questa notte dormirò qui. Non sono riuscita a trovare nulla di meglio della cantina della parrocchia messami a disposizione dal prete. Voglio stare in questo quartiere per qualche giorno, gli avevo spiegato, e non ho soldi da spendere per l’alloggio. Lui mi ha consegnato le chiavi senza guardarmi negli occhi. Forse si vergognava, pensando al suo letto comodo, dello squallore cigolante del divano su cui aveva scelto di ospitarmi.
O forse era proprio di me che si vergognava: una giovane donna in cerca di chissà quali avventure che, in barba a ogni convenzione del vivere civile, cercava un rifugio alternativo a quello caldo e sicuro di casa sua.
No, non sto fuggendo e nessuno ha cercato di farmi del male, gli ripetevo. Grazie, in famiglia va tutto bene e i miei genitori mi amano tanto. Per l’alloggio temporaneo nessun problema, non ho pretese.
Come spiegargli che sono in cerca dell’Uomo, come Diogene e, come lui, nella notte mi accompagna la luce di una candela.
È freddo e buio, io sono spogliata e spoglia. Sono sola con me stessa ma c’è l’infinito dentro di me. Non ho parole per descrivere la bellezza di questa solitudine che mi riempie e mi catapulta nell’universo inesplorato.
È nel buio più profondo che le stelle si avvicinano alla nostra vista.
Ho il cuore pieno.
“Così, tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”