ORIGINI

Il giovane Holden  di J.D. Salinger

” Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla Copperfield, ma a me non va proprio di parlarne”

Scherzo! Voglio parlarne a tutti anche se in realtà non posso farlo, per una di quelle strane storie di famiglia…

Sono nata povera, senza neanche una culla. Mia madre viveva da sola a Milano quando incontrò mio padre e si sposarono con tante  idee ma senza un gran reddito, quindi in via Lecco la mia prima culla fu il cassettone basso del comò. Pane e frutta furono spesso il loro pranzo e la loro cena, allora costavano poco.

Come soluzione poco dopo presero una portineria sempre a Milano, in un bel palazzone nuovo in zona Fiera e così almeno la casa c’era,  luce e gas erano risolti e mia madre aveva un lavoro. Mio padre riparava le prime lavatrici arrivate dall’America e cominciò a guadagnare bene

Erano anni speciali quelli e anche loro in pochi anni hanno potuto migliorare il loro tenore di vita, lavorando sodo.

Ricordo ancora un Natale in cui ricevetti un sacco di regali ed io, bimba assennata e di poche pretese, mi chiedevo come mai Babbo Natale mi avesse fatto così tanti doni. Beata ingenuità!

 

 

RIFUGIO

Qual è la tua isoletta rifugio? Lago di Iseo, paese di Marone e poi salire verso il Monte Gugliemo o Golem come lo chiamano qui.

Quando voglio rilassarmi o isolarmi mi vedo sempre al Rifugio Croce di Marone c. 1000 mt, su una sdraio voltata verso il fondo valle impenetrabile per la folta vegetazione.

In realtà si può scendere a piedi verso Gardone Val Trompia ma il percorso è lungo e tutto a gradoni, molto faticoso per i non  allenati.

Per me è un vero paradiso anche se mancavano tante comodità ,ma da anni non ci vado più, non riesco, troppi ricordi di vacanze con parenti ed amici che non ci sono più; ricordi belli e bellissimi ma pesanti sul cuore.

 

Le ali della mosca

Avrò avuto una decina d’anni. La scena si svolge a Riccione, terra delle mie radici.

Sono a casa dei nonni, sto giocando con altri bambini. Uno di loro cattura una mosca, e con inconsapevole crudele indifferenza le strappa le ali. Io rimango a guardare la mosca. Gli altri si stancano ed escono a inventare nuovi giochi. Io resto con la mosca, che è ancora viva e arranca intorno. Cerco un rifugio sicuro dove posarla. Mi guardo attorno, ma alla fine capisco che non esiste un posto sicuro per una mosca menomata. Senza le ali, una mosca non è più nulla. Una mosca è fatta per volare, se può solo camminare la sua vita non ha senso.
Resto a pensare a lungo, poi alla fine decido per l’unica scelta che mi pare  possibile: afferro la mosca fra le dita, e la schiaccio.
Quanta pietà in quella apparente mancanza di pietà! Solo i bambini con i loro cuori innocenti sanno esserne capaci.
Ricordo di non avere pianto, ma quella mosca io non l’ho mai dimenticata. Tante, troppe volte, ho cercato le mie ali per volare fino al senso della mia vita.
Forse poi il senso della nostra vita è semplicemente racchiuso nel nostr sforzo quotidiano. Se è così, ogni vita è il racconto di un successo, una volta che impariamo la chiave di lettura.

Io non ti ho visto nascere

Io non ti ho visto nascere, e questo ancora adesso mi fa stare male.

Per molto tempo ho avuto la sensazione che mi mancasse una parte, come se non fossi una mamma completa. Non ho sentito il tuo primo pianto, il tuo primo respiro. E ancora adesso dopo venti tre anni mi manca.

Quando ho scoperto di essere incinta dopo due giorni siamo partiti in macchina e mentre eravamo in vacanza ho avuto delle perdite

Avevo già perso un bambino e non volevo perdere anche te

Siamo stati in ospedale e mi hanno fatto delle iniezioni. Poi qualche giorno dopo mi hanno fatto un’ecografia. Su quel lettino con le braccia incrociate sul petto aspettavo solo un brutto verdetto, poi un suono assordante ma ritmico e il dottore mi disse: “Signora lo sente questo rumore? E’ il battito del cuore di suo figlio”. Piansi. Era un pianto di felicità, un pianto d’amore

Non posso dire di aver avuto una brutta gravidanza, non ho sofferto di nausea e ho avuto poche voglie.

Mi ricordo di aver sentito esattamente quando ti sei girato. In quel periodo stavo lavorando al bar alla cassa. Ero in piedi, in pieno orario di punta, nel trambusto della lunga fila davanti a me e mentre ordinavo a tua zia i panini da mettere a scaldare, ho sentito la tua capriola. Mi sono congelata e sbarrando gli occhi verso tua zia ho esclamato:” Si è girato!” In quel momento il tempo si è fermato. Tu piccolo esserino dentro di me.

Mi ricordo che quando andavo a sdraiarmi a letto, spesso e volentieri puntavi i tuoi pedini verso i miei polmoni e spingevi. A me mancava il respiro e dovevo accarezzarti parlandoti per farti ritornare in posizione

Ma il parto è stato un viaggio

Sei nato diciotto giorni dopo la data di scadenza, la prima data presunta, ma fino a tre giorni prima non volevi nascere. Il Dottore mi disse: “Il bambino è ancora in alto, non si è ancora preparato a nascere”

Poi i primi dolori alla sera. Era sabato. Siamo andati in ospedale e l’ostetrica mi disse che quei dolori avrebbero dovuto essere almeno il triplo. Fuori c’erano tutti tuoi parenti. Fecero entrare mia madre che era agitatissima. Forse un pensiero inconscio si insinuò in me. Se lei, che aveva avuto sei figli e aveva visto nascere quattro nipoti prima di te, era così agitata, allora avrei dovuto esserlo anche io. Alla fine decisero di tenermi in ospedale perché inaspettatamente mi si era alzata la pressione.

Morale della favola tutta la domenica e il lunedì ho camminato lungo il corridoio del reparto, dando le doglie mai abbastanza forti. Martedì mattina il ginecologo, vedendomi ancora così, decise di farmi partorire ad ogni costo. Tentarono di tutto: ossitocina, dilatazione manuale, ma dopo avermi rotto le acque, il tuo cuore rallentò bruscamente. Cesareo d’urgenza. Mi prepararono in pochi minuti. In pochissimo tempo ero sotto la lampada della sala operatoria. L’anestesista urlava:” La vogliamo togliere questa ossitocina!”. Ricordo vagamente due occhi con la mascherina ed una voce che mi diceva: “Bene conti da 100 in giu..”. Ed io: “100, 99, 98,97……” Ricordo la sensazione di cadere nel nero profondo con la paura nel cuore.

Mi risvegliai nella sala post operatoria. In fondo alla stanza Ornella l’ostetrica compilava dei fogli. Io la chiamai e lei voltandosi esclamò “Ah Sonia sei sveglia.” Le domandai:” Ornella, Francesco come sta?” e lei mi rispose:” Francesco sta bene, è andato tutto bene”. Io ripiombai nel mio sonno profondo, complice l’anestesia ancora da smaltire. Sei nato alle 18.05 del 18 Aprile del 2000.

Alle 6 del mattino venni svegliata dalle infermiere che portavano il carrello degli arrosti. Lo chiamavamo cosi perché tutti i bambini erano messi in fila e fasciati tanto da sembrare dei piccoli arrosti. Io ero ancora intontita dai tre giorni di fatica e senza mangiare. Un’infermiera ti posò tra le mie braccia. Tu non piangevi. E fu in quel momento che ti vidi per la prima volta. Amore mio.

 

 

Io piccola

Ciao Bambolina

Sei proprio tenera con quelle guanciotte, in braccio al tuo papà. Hai uno sguardo sorpreso, come chi dal mondo ha voglia di imparare tutto.

A me hanno sempre detto che questa è un’ottima qualità. Ti rende più forte, più consapevole. In effetti ti devo dire che in parecchie situazioni mi ha aiutato e mi ha dato molte soddisfazioni, ma anche delusioni. Eh si ragazzina, perché tutta questa bravura sposta sempre più in alto l’asticella delle aspettative degli altri nei tuoi confronti. E’ un grosso peso.

Ti voglio raccontare una storia. La storia di una guerriera che ogni giorno deve guardarsi le spalle per non cadere nelle trappole, ogni giorno deve combattere per non soccombere contro i mostri.

Cosa potrebbe desiderare di più una guerriera così?  Pace, serenità, deporre le armi e non avere paura. E così va alla ricerca di un compagno che possa guardarle le spalle mentre lei si riposa.

Durante questo viaggio incontra un mago, che per un breve periodo la fa sentire amata. Da questa magia nasce un bambino. Per la guerriera fu subito amore a prima vista. Provava un amore inteso, infinito, un amore così grande quasi da far paura. Paura che al piccolo potesse succedere qualcosa di brutto, paura di non essere all’altezza, di non poterlo difendere. La guerriera decise che adesso la sua priorità era difendere il suo piccolo.

Il mago li abbandonò, ma lei non si sentì persa

Gli anni passarono combattendo contro ogni mostro che cercava di fare del male a lei e a suo figlio.

Durante il tragitto conobbe Troll travestiti da maghi e guerrieri. Fu ferita spesso, qualche volta anche in modo mortale.  Le era anche capitato di sentirsi così stanca da pensare di non rialzarsi, ma poi lo sguardo di suo figlio, la sua tenerezza, la facevano sempre sollevare impugnando la spada e lo scudo.

Ora suo figlio è più grande, ben presto diventerà uomo. Lei invecchia e incomincia a sentire il peso dei suoi anni. Si preoccupa di non aver insegnato abbastanza a suo figlio, teme che, quando non ci sarà più lei a proteggerlo, gli possa succedere qualcosa di terribile.

Eh ma ragazzina chi può conoscere il futuro?

La morale della storia che ti ho appena raccontato è: una Donna che ama è capace di ogni sacrificio.

Certo amare qualcuno, voler bene a qualcuno, è pericoloso. Questo qualcuno potrebbe farti male, anche involontariamente. Ma credimi, quando ti dico che ne vale la pena.

Conviene rischiare per quel sentimento che proverai, per quei momenti che vivrai. Sono ricordi che ti porterai dentro. Assapora ogni attimo di quei momenti, assimila ogni aspetto, anche il profumo. Perché questi ricordi nessuno te li porterà via.

Quando diventerai grande e ti sentirai stanca, delusa e triste, tira fuori uno di questi ricordi, chiudi gli occhi e rivivi quelle emozioni. Quando riaprirai gli occhi, il tuo cuore sarò ancora gonfio d’amore. Ti alzerai da quella sedia, prenderai la tua spada e il tuo scudo affrontando la vita.

 

Tua Valeria

Ricordo la prima volta che ci siamo conosciute.
Eravamo in quarta elementare, la sezione B della mitica maestra Balducci. Non ricordo il mese esatto, solo che l’anno scolastico era già cominciato. Bussarono alla porta ed entrasti tu, accompagnata da tuo padre. Timida e magra, con le gambette secche, tutta occhi e denti bianchi.

Tuo papà chiese se qualcuna di noi abitasse vicino a casa vostra, per riaccompagnarti a casa a lezioni terminate. Tu abitavi in via Kramer 29, io in via Kramer 35. Naturalmente alzai la mano e, il mio gesto, segnò per sempre la nostra amicizia.
Con mio grande rammarico non ho foto che ci ritraggono insieme in quel periodo. Però ricordo bene la scuola, i pomeriggi passati a fare i compiti a casa mia, le lezioni di catechismo in Oratorio, i giardinetti percorsi in lungo e in largo insieme ad Annalisa e Giuliana.

Ci separavamo solo nei mesi estivi: io a Riccione e tu a Soveria Simeri, perché alle nostre origini noi ci abbiamo sempre tenuto e, quando potevamo, tornavamo a casa. Alle medie tu decidesti di iscriverti alla Oriani per seguire le orme di tua sorella Brunella, mentre io, Annalisa e Giuliana ci iscrivemmo alla Locatelli, a pochi metri ma svariati anni luce di distanza. Noi con il grembiule nero, classe rigorosamente femminile e austera, tu in classe mista.

Scuole diverse ma, i pomeriggi, li passavamo sempre insieme. A casa mia a studiare un po’ a fatica, a casa tua a leggere i fotoromanzi di Brunella e a sognare improbabili avventure con Franco Gasparri. I nostri primi amichetti maschi, le nostre prime cottarelle le dobbiamo a te, che generosamente condividesti con noi i vari Bono, Roveri e Capelletti. È buffo, non ricordo i loro nomi di battesimo: avevamo mutuato la tua abitudine di chiamarli tutti per cognome, come in classe.

Poi le superiori, i primi fidanzatini ufficiali. Del tuo Noris io ero molto gelosa, perché per un po’ era riuscito ad allontanarci. Quando vi siete mollati ho fatto la Ola. Poi arrivò l’impegno politico. C trovammo anche noi a cantare insieme a Guccini “La locomotiva, come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia”. In classe non ci stavamo mai, però abbiamo costruito delle amicizie vere, quelle che durano per tutta la vita.
In quarta decidesti di emanciparti. Ti iscrivesti alle serali e, di giorno, andasti a lavorare dal dentista Perini come assistente di poltrona. Durò solo un semestre, il tempo di pentirti e tornare sui tuoi passi, che però ti costò l’anno scolastico. Classi diverse ma i pomeriggi sempre insieme al circolo giovanile Roberto Franceschi, a parlare di politica e a sognare la rivoluzione.

Poi le nostre strade si sono divise: io a Londra e in giro per l’Italia, tu trasformata in una madre bambina che, giorno dopo giorno, ha dovuto crescere insieme a suo figlio. Mi confidasti, anni dopo, che nei momenti difficili pensavi a me per darti forza. Quanto rimpiango ora di non esserti stata accanto! Nel 1991, al mio ritorno da Francoforte, tu invece c’eri. Ci sei sempre stata per me.

Negli anni ’90 tu il teatro, io il ballo e poi il giornalismo. Grandi passioni che, se pure ci allontanavano fisicamente, non hanno mai potuto separarci. Era come se il tempo non fosse mai passato. Eri la mia memoria storica, ricordavi tutto e tutti: volti, nomi, aneddoti, circostanze. Io al tuo confronto ero la “smemorata di Collegno”.
Però poi tu hai cominciato a dimenticare. Un episodio alla volta, pezzo per pezzo hai disfatto la tua vita. Pezzo per pezzo insieme alla tua hai disfatto anche la mia, perché senza di te come faccio a ricordarmi tutti gli aneddoti del nostro passato insieme?

Eppure l’amore profondo, l’amicizia, le risate, le litigate e le riappacificazioni, le confidenze, la sensazione di totale fiducia che ci hanno legate sono vivide come sempre. La mia mente ritorna con te sui banchi di scuola o ai giardinetti, mano nella mano come allora.
Dentro di me non è cambiato niente. Io ti ricorderò sempre, ricorderò anche per te.
Tua Valeria

Vita privata

Il mese scorso dei ladri sono entrati nell’appartamento di Parigi dove a volte ricevo il mio Paul ed hanno rubato solo le nostre lettere d’amore: di sicuro ladri inviati da sua moglie, gelosa e aggressiva. Sono vedova di Pierre da qualche anno , abbiamo avuto due figlie ed ora sono innamorata di un uomo più giovane di me .

Nella mia dura vita ho incontrato tanti pregiudizi: sono straniera,  sono laureata, insegno in una prestigiosa università, lavoro in un campo tipicamente maschile, ho ricevuto due premi Nobel. Eppure sono finita sui giornali con scandalo per il mio amore verso un collega ed amico di famiglia sposato e con figli.

Niente frivolezze nella mia dura vita, anche nelle foto che vedete sono sempre seria, una austera donna vestita sempre di nero. Solo una sera, ad una cena di lavoro, mi videro arrivare vestita di bianco, con un fiore sul petto: mi ero innamorata.

Ho lavorato duramente anche con mio marito, nel nostro laboratorio di fortuna, con strumenti rudimentali e sono molto orgogliosa di questo. Poi all’improvviso, da celebre ed ammirata scienziata sono diventata la straniera rovina famiglie ma ho un principio: la mia vita privata non vi riguarda.

Ora Paul rimane in famiglia e di rado mi raggiunge nel nostro appartamento, io sono stanca, non mi sento molto bene e qualche collega invidioso dice che le mie scoperte sono pericolose ma io lo nego decisamente!!

 

Io sono   Marie Sklodowska   vedova Curie

 

Morta di leucemia senza sapere della pericolosità delle sue scoperte

e sepolta a Parigi nel Pantheon in una cassa di piombo a causa delle radiazioni

 

BARBARA

Questo è un periodo pesante, ho poca voglia di feste e di mimose, mi hanno scoperto un cancro al polmone.

Dopo tanti dolori ed esami la verità è stata durissima da accettare; ho già iniziato il percorso di cura per questi mali, chemio, radioterapia, tante pillole ogni giorno. Sono stanca, spesso neanche ho voglia di ascoltare Roberto  o nostra figlia Carlotta che a cena parlano e mi raccontano del lavoro o della giornata all’università.

A me ormai non chiedono nemmeno più :” Come stai oggi?”

Mi accorgo che cercano di tenere viva la conversazione, nonostante i miei silenzi, e tra di loro fanno battute o raccontano di amici o del clima; forse non riescono ad affrontare il mio male, i miei dolori e la mia paura.

Ho tanta paura, a volte le lacrime scendono e neanche me ne accorgo… Con le amiche ora ci sentiamo al telefono e il tempo non passa mai, dormo tanto, cerco di leggere e la televisione è accesa ma non la ascolto.

Solo il  cane riceve ancora da me la sua dose di coccole.

Mi preoccupo della casa, della polvere, dei pasti non pronti, dei panni da stirare… come faceva mia madre.

Passerà, andrò con le amiche a prendere l’aperitivo, partirò per vedere l’aurora boreale, porterò a spasso il mio grosso cane.

Donne

Tutte diverse.

Creature dalle mille sfaccettature.

A volte simili ma mai uguali.

Così come creano  la vita, partorendo nel dolore e nella sofferenza, riescono ad uccidere nel nome dei propri ideali

Sanno amare teneramente e a volte incondizionatamente, ma se pensano che gli avete fatto un torto vi odieranno per il resto della vita

Hanno paura dei film dell’orrore, oppure del tizio strano che incrociano, ma come diventano coraggiose quando devono difendere i propri figli, le proprie amiche, i propri affetti

Le puoi trovare a fissare fuori da una finestra e a meno che lei non te lo voglia dire non saprai mai a chi o a cosa sta pensando: forse a lui a l’unico uomo che abbia mai veramente amato, forse a suo figlio,  che anche se è un bravo ragazzo c’è sempre qualcosa che la preoccupa, forse sta pensando al lavoro, c’è sempre un problema da risolvere o più semplicemente a cosa preparare per cena

Il Moderno Prometeo

Ormai la sera è giunta, ma prima di andare a letto come da sempre una spazzolata ai capelli.

Mi guardo allo specchio e  penso a mia madre Mary con le sue idee.

Lessi uno dei suoi scritti e le parole mi risuonano ancora nella mente:

” E’ ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere le donne, è ora di restituirle la dignità perduta e di far si che esse, in quanto parte della specie umana, operino riformando se stesse per riformare il mondo “

Scrisse tanto sull’argomento, ma io non potei mai sentire il suono delle sue parole. Morìì dandomi alla luce.

Però io sono cresciuta nello stesso ambiente con le stesse idee e con la possibilità della libertà di pensiero

Non sono mai stata una donna facile, avevo proprio un carattere libero

Ed è stata proprio questo mio atteggiamento verso la vita che mi ha portato a dichiarare il mio amore a Percy. Non mi importava che lui fosse già sposato e che io avevessi  solo sedici anni. Come potevo non innamorarmi di un poeta che scriveva dell’amore libero?

Tre anni fa siamo scappati in Europa per creare la nostra famiglia

In questi anni ho avuto tre figli, due femmine e un maschio. Purtroppo le mie bambine sono morte

Ho sofferto tanto per questo motivo

Sono stata sempre circondata da poeti e scrittori di grandi vedute. Fu proprio quando avevo 19 anni che Percy ed io frequentammo la casa di Lord Byron. Lì trascorremmo spesso il tempo parlando di Erasmus Darwin, dei suoi esperimenti e del Galvanismo

Mi affascinavano tutti quei discorsi sulla  rianimazione

Una sera Lord Byron lanciò una sfida a tutti i presenti e cioè scrivere una storia di fantasmi…

Quella notte non dormiii, dentro di me una storia prendeva vita…La storia diventò un libro…

Oggi quel libro è stato pubblicato in forma anonima…E’ stato deciso cosi, visto il tipo di romanzo,  sarebbe preferibile che non si sappia che sia stato scritto da una donna e per giunta anche cosi giovane

Però sogno il giorno che potrò affermare: “io sono Mary Shelley e ho scritto Frankenstein, o il Moderno Prometeo!”

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