La voglia di…

La voglia di
fare l’amore con te
è salita
dal fondo delle gambe,
sincera, inattesa,
forte e seducente,
con fitte improvvise,
nel corpo un tremore
invadente,
il pulsare del sangue,
un martello nella mente

Ho chiuso gli occhi
senza pensare,
le mani aperte
entrambe sul ventre
per lasciarmi cullare
Poi ho capito
che stavo per mancare…
Dalla caduta
mi ha salvato un niente!

(So già  che riderai
quando te lo raccontero’
Sai, stavo al piano ammezzato
Sì, proprio alla “Rinascente”!)

Babu e l’infinito

«Nonna, tu non vieni con me e mamma?»

«No, piccola scimmia, nonna è vecchia, rimane al villaggio con Didi».

Didi, il cane, se era messo a scodinzolare, sollevando la terra dello spiazzo. La siccità aveva reso tutto friabile, impalpabile. La stagione delle piogge si era fatta sempre più breve e violenta. L’ultima volta, quasi tutte le capanne del villaggio erano state rovinate da una tromba d’aria. Dell’acqua caduta dal cielo, la terra ne aveva rifiutato la maggior parte. Troppo dura per immagazzinarne.

La nonna alzò lo sguardo dal piccolo Babu. Per un momento lasciò quegli occhi grandi pieni di meraviglia, pieni di futuro. Sospirò guardando il cielo offuscato dalla polvere che s’alzava ad ogni alito di vento, avanzando dentro le case, coprendo le poche verdure che crescevano nell’orto.

«Ma così rimani da sola», insistette Babu.

«Che dici, piccolo cerbiatto, sai che verranno a farmi compagnia il nonno e il papà».

«Ma loro sono in cielo!».

«Oh, certo, ma la loro anima può viaggiare e venire da me. Li chiamerò mentre sono a guardare le stelle. Mi racconteranno tutto, veglieranno sul vostro viaggio, e sarà come essere insieme a voi».

«Nonna, mi racconti ancora dove andremo io e mamma?»

«Sì, dolce gazzella. Camminerete molto, dovrai essere bravo, non lamentarti e stare sempre vicino a mamma. Poi arriverete al mare. Tu non hai mai visto il mare. Nemmeno io. Ma so che è fatto d’acqua, tanta acqua azzurra e splendente, senza confini».

«Bello, vero nonna?».

«Bellissimo, piccolo struzzo. Non avrai abbastanza occhi per guardarlo».

«E dopo?».

«Dopo ci saranno delle grandi barche, non come quelle che vedi quando andiamo al fiume, più grandi, per attraversare il mare e arrivare in Italia».

«Italia, bella questa parola, vero nonna? Italia. Mamma dice che è una cosa grande, come il respiro di Dio».

«Grande come il respiro di Dio», ripeté la nonna guardando seriamente il nipotino.

«Mamma dice che in Italia ci sono orti dappertutto, giardini e frutteti. L’acqua nelle fontane è fresca e trasparente. Ci sono cose da mangiare che si possono cogliere dagli alberi, polli arrosto e tacchini. Dice che non ci sono animali pericolosi. Che è il posto più simile a quello dove stanno ora il nonno e papà».

«Certo, piccolo camaleonte, ci sono persone gentili, eleganti con le macchine lucide come specchi. Poi ci sono tante medicine che fanno passare tutti i mali. E gli aerei nel cielo che lasciano strisce che paiono sorrisi. Con gli aerei si va molto lontano».

«Allora, appena arrivo in Italia, prendo un aereo e torno qui, così potrai salire e venire con noi».

«Mi sembra una buona idea, Babu, molto buona. Aspetterò di vedere il sorriso del tuo aereo per volare insieme».

«Nonna…».

«Sshh, piccola lucertola, è ora di dormire. Domani, dovrei metterti in viaggio molto presto, prima che sorga il sole. Mi raccomando, non dimenticare questo».

Nonna allungò una mano sul petto del bambino, dove aveva cucito una tasca. Dentro, oltre a un amuleto, aveva messo la pergamena che aveva vinto Babu durante una gara di corsa campestre, pochi mesi prima, a soli sette anni.

Era stata l’ultima volta che erano andati in città, con il papà di Babu. Poi la guerra se lo era portato via. Erano rimaste la fame e la polvere, al villaggio. Pochi anziani che faticavano a percorrere le quattro miglia per prendere l’acqua al fiume, sempre più secco. Babu meritava di meglio che vedere il fiume inaridirsi e la terra diventare polvere. E poi c’era la guerra. Quella è peggio di qualsiasi carestia. Fa morire le persone, anche quelle rimaste vive.

«Così vedranno che sei un bravo bambino e molto forte, per giunta. Tutti ti vorranno».

«Bene, ma io vorrò stare solo con mamma e con te. In un giardino di fiori e frutta, con le galline che beccano Didi».

«Certo, anch’io, mio amatissimo. Ma ora dormi».

Nonna rimase tutto il tempo a vegliare il sonno del piccolo. Era magro, ma sveglio, intelligente, buono. La nonna si chiese se fosse troppo buono. Pregò gli spiriti e Dio.

Non era ancora sorto il sole. Il cielo nero serbava la cupola di stelle, quando al villaggio arrivò un autocarro.

Sopra, alcune persone insonnolite. C’era anche una ragazza, aveva il pancione protetto dalle mani. Babu aiutò sua madre a salire, tenendole la mano. Si stava issando a bordo, quando volle dare un ultimo abbraccio alla nonna. Corse per il breve tratto con il pianto negli occhi, poi rintanò la faccia nel suo grembo. Si asciugò le lacrime sulla veste, mentre la vecchia gli accarezzava la testa.

«Ora vai Babu, e ricorda di essere sempre una brava persona», disse la nonna con la disperazione nella voce.

Babu salì a bordo. Il carro partì. Destinazione infinito.

QUANTE MAMME CI SONO ?

Capelli corvini fino a novant’anni  “perché così potete vedermi sempre giovane”, colore preferito il rosso, carattere fumantino non con noi figli, solo con nostro padre che sembrava essere quello che subiva, nella coppia, ma in effetti era il magma sotterraneo che faceva esplodere il vulcano.

Lei, la mia mamma. Donna esuberante, canterina, così vivace che la sua sorella maggiore che le ha fatto da mamma come ai suoi tre fratelli ,perché la loro era morta di parto, una volta la legò giovanissima alla gamba del tavolo perché  non andasse in balera a vedere gli altri ballare.

Lei mi ha insegnato ad affrontare la vita con leggerezza, non lasciandomi abbattere dalle difficoltà ma trovando anche nelle vicende più problematiche qualcosa di buono da vivere e da imparare.

La ricordo quando io, alunna delle medie in crisi di fronte a un’espressione matematica particolarmente  ostica, me la ritrovavo accanto che mi diceva :”Io ho fatto solo la terza elementare, non capisco queste espressioni , però resto qua vicino a te e ti faccio compagnia”. E più  di una volta, rifacendole, le espressioni risultavano esatte.

Ricordo anche la sua voce acuta, da soprano, quando la domenica mattina , cantando, steccava la carne con l’aglio per renderla più appetitosa e la sua allegria mi contagiava. Ho imparato tantissime canzoni cantando con lei. Non ricordo particolari abbracci, baci o carezze da parte sua, ma nei momenti importanti lei era lì.

Anche se a sua insaputa mi ha insegnato cos’è l’autonomia, lasciandomi tornare a casa da scuola da sola, vincendo la paura di percorrere un lunghissimo pezzo di strada e fidandomi di me e delle mie forze .

Accanto a lei, durante la mia vita in famiglia, c’è  stata anche un’altra specie di mamma, la zia , sua sorella (quella della gamba del tavolo ).

Diametralmente opposta, mi aspettava quando tornavo da scuola con il pranzo pronto,  mi ha corretto tante volte i temi e fatto rifare i disegni delle persone perché erano sempre troppo grasse,  mi ha insegnato  a giocare a scala quaranta,  a lavorare all’uncinetto,  a fare la pizza, a  sistemare la cartella in camera  invece di  lasciarla  per terra in corridoio , come facevo di solito.

Regole, divertimento, autonomia mi hanno aiutato a crescere e a trovare  il centro della mia vita.

E io che mamma sono stata?

Non mi sono fatta nessuna domanda quando i miei figli erano piccoli e neppure adesso che sono grandi.

Per deformazione professionale ho avuto un unico pallino : quello della scuola. Mi piaceva che loro leggessero tanti libri, imparassero bene le tabelline e si portassero avanti nei loro compiti. Per il resto ho vissuto , riso, giocato e sono diventata grande insieme a loro.

Ricordo che di giorno ci sono sempre stata mentre di notte chiamavano “papà ” perché io non sentivo le loro voci. Oggi che sono adulti e mi scopro a osservarli, mi dico che quello che vedo mi piace e sono contenta per loro e un po’ anche per me.

Lei, soprannominata ” farfallina durina” perché morbida fuori e tosta dentro sta attraversando l’esistenza con forza e leggerezza come la sua nonna. La osservo mentre legge i libretti ai suoi bambini, li abbraccia , li bacia, li accarezza, li  porta a spasso, parla con loro anche in inglese, prepara le loro pappe e si sveglia di notte quando piangono.

E allora penso che tutti noi siamo stati bambini fortunati perché abbiamo avuto una mamma e qualche volta anche due .

Gabriella

 

 

 

 

 

 

 

Tu, io

Tu
La mia libertà
Il pensiero
La speranza
L’avventura
L’audacia
L’orizzonte
L’istante infinito

Io
Ancorata
al ricordo
dei tuoi sguardi
in mezzo
al mio cuore
galleggio
nello spazio
dell’assenza

01/05/’23

 

 

Alba

Ecco questo è uno dei momenti che preferisco
La luce del giorno che incomincia
Nessun rumore in casa, solo il piccolo ticchettio dell’ orologio in cucina
Nessun rumore fuori, solo il cinguettio di qualche uccellino sugli alberi
Tutto fermo
Sola tra il buio e la luce
È come un limbo
Mi crogiolo tra le lenzuola e le coperte ammirando quel colore azzurro verde che colora la finestra, l’alba.

Stella vagante

Vorrei
esistere lassù
a rilento
come stella
splendente
nottambula
placida
svanita
rimbalzante
nell’eternità
senza andata
senza ritorno
amante
dell’infinito
di notti
arcane
lucenti
eterne

 

Milano, via Cerva

Sentivo te
nel palmo
della mia mano
dolce nella fermezza

Sentivi me
nel palmo
della tua mano
ferma nella dolcezza

Sentivamo
l’amore attraverso
i battiti del cuore
cucire le nostre anime

Ottobre 1988

Balla

Balla mia bella,
muovi i fianchi come onde
quando è buio e le luci sono
fuochi fatui nella notte.

Balla e sogna, e segui il tempo
con le dita, il tempo che
tra le dita scivola
fino a volare dentro al cuore
ma nel cuore c’è dolore.

Balla e ridi e agita la gonna,
nera fiamma
promessa di dolcezza e di dolore,
balla senza far rumore.

Segui i tamburi come in un sogno
dove i tuoi seni sono fuoco vivo,
balla e non pensare a domani
perché domani non può ferire.

Chiudi gli occhi lasciati andare,
lascia che sia e balla come mai
perché sei vera, sei viva
e lo sai.

Balla questo ritmo che sale
dalla tua anima negra che ti fa capire
che finché balli
non puoi morire.

Non pensare più al dolore,
o pensaci con amore.

Amo i deboli (1981)

Amo i deboli
Ogni loro gesto impreciso
Chi scivola
Chi inciampa
Chi stonato canta
Chi smarrisce la strada
Chi urta, chi cade
Chi è distratto
Chi ha un’aria da matto
o un’anima stravolta

Amo i deboli
La loro esitazione
mi è familiare
Forza sconosciuta
che a volte fa male
come il tremore
o un tenue candore
Sì, il debole
mi è congeniale
E’ un soggetto
che parla, si muove,
sente, capisce e
conosce il batticuore

Amo i deboli
La loro discrezione
segreta canzone
non lascia un segno
mio stesso disegno
uguale ingranaggio
di un antico gioco vitale
Labirinto fatale
Amo i deboli, con pudore
Anch’io, come loro,
sono un ritratto su tela
senza firma d’Autore

Marzo 1981

 

Le ali della libertà

Dalle antiche vette
le braccia tendi
più in alto ancora
dell’azzurro nulla,
oltre il dolore,
più in là del mondo.

Librati spirito
spiega le ali
e va’…
Ti prego, oh prego,
vola
là dove è amore, e vita,
e luce, e gioia.

Dove sarai libero,
dove è già il tuo cuore,
dove il dolore
guarirà…
Oh vola!
Oltre le antiche vette
verso l’eternità.

 

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