Racconti e Poesie

Una Storia come tante

La ragazzina entrò nel bar. Si guardò intorno e vide che al bancone c’era un solo cliente che si gustava lentamente il suo caffè. Era luglio e fuori faceva caldo, ma i clienti preferivano stare seduti all’esterno invece di stare dentro.  Dietro di lei fece il suo ingresso un ragazzo che portava il classico grembiule da barista e in mano un vassoio con qualche tazzina da caffè sporca. Fece il giro per passare oltre il bancone e mise le tazzine sporche dentro il lavandino. Il cliente che gli stava di fronte gli rivolse la parola: “Otto, ti devo pagare il conto.”

  • “Signor Giuseppe, 70 lire”
  • “Ma poi che nome è Otto” – gli disse mentre gli porgeva i soldi
  • “Signor Giuseppe sono l’ottavo figlio di dieci e mi hanno chiamato così”

Il cliente rise e se ne andò via

A quel punto Otto si rivolse alla ragazzina che poteva avere si e no quindici anni “Ciao, hai bisogno di qualcosa?”

“No” disse lei “Aspetto mia madre, di solito viene qui a prendere il caffè a quest’ora”

Il barista, la guardò annuendo. Per istinto guardò l’orologio alla parete, mancavano pochi minuti alle due

In quel istante dal retro uscìì un altro ragazzo che chiese.” E’ arrivata?”

Otto lo fissò e gli domandò:” di chi stai parlando Carmelo?”

“Ma si dai la signora che lavora nella profumeria, qui di fianco…”, “La Signora Anastasia”

“ Io non l’ho mai vista, il mio turno di solito inizia più tardi”

“ Non l’hai mai vista, è vero! Di solito facciamo a gara a servirla, E’ una donna bellissima… Ha un modo di muoversi che ti fa girare la testa” “ E, a proposito,  appena arriva, la servo io!”

Otto che per natura era scettico, annui distratto

Dall’esterno si sentì un leggero mormorio…piccoli bisbigli di uomini…

Un rumore di passi da donna, piccoli tacchetti,  niente di provocante…

I due baristi guardarono l’ingresso e quello che videro fu una donna, non troppo alta… sarà stata un metro e sessanta. Un corpo che ricordava a grandi linee le misure da pin up. Aveva una camicetta in viscosa color beige e una gonna tre quarti di color marrone, due scarpette con la punta arrotondata che facevano un piedino affusolato e una borsetta in tinta. Occhiali da sole color castano con le lenti affusolati da gatto. Ma non era la fluidità dell’accostamento dei colori che colpiva all’occhio, bensì la grazia di come camminava, di come si accostava al bancone. Otto rimase a guardarla e di colpo capìì che cosa intendesse il suo collega.

-“Sara, cosa ci fai qui?” – disse la donna rivolgendosi alla ragazzina

-“Ho lasciato le chiavi di casa dalla mia amica, e non volevo rifare di nuovo tutta la strada”

Anastasia aprii la borsetta e prese le chiavi dandole a Sara: “Eccole, ma domani dovrai andare a prenderle”

-“Grazie Mamma” disse Sara uscendo dal bar.

Carmelo prontamente esordì con uno sguardo languido: “Signora Anastasia il solito caffè?”

-“Si grazie”

Carmelo si girò e comincio a trafficare con la macchinetta del caffè, facendo rumore a più non posso, come se tutte questo frastuono lasciasse intendere che stava facendo il caffè più buono del mondo.

Otto nel frattempo era rimasto fermo li davanti a guardarla, non riusciva a toglierle lo sguardo da dosso.

Carmelo porse la tazzina sul bancone. Anastasia aggiunse un cucchiaino raso di zucchero. Lo mescolò con dolcezza e lo sorseggiò. Aprìì la borsetta e prese 70 lire. Le lasciò sul bancone. Ringraziò e uscì

Carmelo e Otto rimasero a fissare la porta di ingresso, quasi avessero visto un miracolo della natura…

Carmelo sospirò e rivolgendosi a Otto gli disse: “ Eh amico mio, avevo ragione, no?”. Otto non rispose ormai era assorto nei suoi pensieri… “ Anastasia…” “Che Donna…” “ Ma la ragazzina l’aveva chiamata mamma…” “ Ma quanti anni ha? Se ha una figlia di circa 15 anni….E’ poi sarà sposata…avrà un marito”

Dentro di se Otto si agitava. Quella donna l’aveva colpito. Sentiva un irrequietezza che gli prendeva lo stomaco, ma nello stesso tempo le domande che si poneva e le risposte che si dava non gli piacevano…

 

 

descrivo un oggetto : una foto

La foto che descrivo è stata scattata tanti anni fa e mi suscita molti ricordi. I personaggi siamo io, mia figlia Benedetta e mio marito. Era una festa di compleanno e ci trovavamo sulla veranda della nostra casa, casa che abbiamo lasciato circa 22 anni fa. In questa casa sono state concepite Benedetta, la ragazza della foto e Veronica, l’ultima nata.
Il ricordo più bello è il mio stato d’animo di quando aspettavo un bambino: ero contenta perché mi sentivo importante, utile.
In questa foto mi guardo e mi vedo sorridente ma già da allora “dentro” non stavo bene. Ma, mi chiedo, quando nella mia vita sono stata bene? Certamente quando mi sono sposata perché uscivo da una famiglia patologica e speravo di aver finalmente trovato un nuovo equilibrio e poi ogni volta che è nato uno dei miei figli tranne Benedetta perché sapevo, già dalla gravidanza, che era una bimba con problemi che nessun medico sapeva diagnosticare, almeno fino alla sua nascita, forse. Adesso Benedetta è preziosa, così com’è.
Vedo nella foto anche mio marito sul quale ho investito tante aspettative che in buona parte sono state deluse, non per colpa sua ma perché eravamo e siamo troppo diversi per avere quella sintonia e complicità che avrei desiderato. Lui è molto buono ma stranamente devo dire che ci sono momenti nei quali lo sento estraneo alla mia vita, come se fosse una persona che quasi non conosco. Ma tornando alla foto, mentre la descrivo mi rendo conto di quanti sentimenti mi suscita e di come la vita mi abbia riservato sorprese a volte piacevoli, alte no. Manca la descrizione di Benedetta, la festeggiata. Lei è la mia vita, la persona più importante che, anche se disabile, mi riempie il cuore di amore, tenerezza, desiderio di protezione.
Credo di aver detto anche troppo su questo oggetto, vi ho condiviso un pezzo e forse molta parte della mia vita.
Grazie care amiche per la vostra attenzione, vi abbraccio
Carla

ANASTASIA, OTTO E SARA

Quel giovedì di luglio avevo deciso di trascorrere alcuni giorni in montagna, in Alta Valle Seriana, ma quando arrivai a Vertova desiderai solo scendere dall’auto e prendermi un caffè, anche se il caffè nella bergamasca è un incubo , sempre lungo e acquoso

Trovo un parcheggio davanti alla stazione e accaldata entro nel primo locale che trovo. Il bar è piccolo stretto e lungo, la barista è una bella donna sulla quarantina, curata e gentile, ma con uno sguardo duro.  Chiedo un caffè ristretto e mi siedo al primo tavolino libero. Credevo che la signora si chiamasse Orsolina come è scritto ad insegna del bar, invece la sento chiamare Anastasia.

Sono le tre del pomeriggio e ci sono poche persone oltre me, solo un giovane uomo ed una ragazzina su due diversi tavolini; la barista si rivolge all’uomo con voce paziente ma ferma: -“Otto perché non vai a casa ora? Più tardi dovrai aprire il negozio e mi sembri stanco.”-

In realtà a me sembra aver bevuto troppo questo trentenne dalla barba lunga di giorni e la voce impastata

-“Pota, dopo vado…Anastasia lo sai che quella donna non doveva colpirmi…pota, cosa dovevo fare…io la denuncio e poi…pota nulla, mi danno torto…pota una donna può picchiare?”-

La ragazzina lo guarda, poi guarda la barista e si sorridono complici, di sicuro questa storia l’hanno già sentita, il paese è piccolo.

-” Sara vuoi altro?”  – chiede Anastasia. Sara è una quindicenne slanciata con capelli neri e corti e porta uno zainetto alla moda. -” No, tra poco arriva il mio treno, fra due ore ho lezione a Bergamo”-

-“E’ bello che tu faccia danza classica Sara, a volte ti guardo e hai un portamento così speciale”-

Mi piacerebbe restare e chiedere i particolari di queste storie ma mi mancano ancora tanti chilometri .

AUTOGRILL

Adoro gli autogrill in autostrada.

Negli anni ne ho frequentati parecchi e mi hanno sempre dato conforto e sicurezza: trovi sempre molti servizi utili, un caffè ad ogni ora, un giornale, un libro, il pane o un formaggio  da portare a casa , oppure una colazione o un pranzo veloce.

Cammini e ti sgranchisci le gambe lungo un percorso obbligato, in fondo sono tutti uguali, dei “non luoghi” fuori dal mondo, puoi essere a Modena o Bergamo non si capisce ; quando finalmente trovi l’uscita non è mai dalla parte dove avevi parcheggiato l’auto e  lì davanti  trovi dei tipi in piedi che sembrano aspettare qualcuno fumando …

VIAGGIO

In questi ultimi mesi controllavo spesso alcune agenzie turistiche cercando una meta dove trascorrere una settimana.

Era una ricerca generica, non avevo preferenze tra città d’arte, un viaggio tra varie città o un luogo dalla natura particolare, la realtà è che volevo provare a viaggiare da sola, superando le mie paure; trovarsi all’aeroporto e cercare il gate di partenza, dove faccio il check in?  devo trovare un taxi, quale bus mi porterà in hotel?

Ho sempre viaggiato con parenti , amiche o gruppi in viaggi organizzati , così a luglio ho prenotato un posto sul bus che mi ha portato  sul mare adriatico  e mi sono sentita molto soddisfatta.

Ora vorrei provare a viaggiare in treno verso Mantova per trascorrere un fine settimana, invece se penso ad un viaggio più interessante vorrei visitare la Toscana.

A voi sembrerà poco.  Perché lo faccio?  Serve a crescere, a provare cose nuove, ad essere viva

CARE AMICHE VI SCRIVO…..

Carissime tutte, sono Carla e faccio parte di questo gruppo. Vi ho conosciute prima della pandemia e ho partecipato ad alcuni incontri. Da subito mi sono sentita a mio agio con voi, accolta, voluta bene. Poi dalla pandemia in poi “fermi tutti” e gli incontri sono stati sospesi. Ho fatto in tempo ad essere presente ad un pic-nic ai Fontanili e in questa circostanza è stato bello vivere un clima di serenità che mi è rimasto nel cuore.
In questi ultimi anni ho scritto e letto poco anche per una sorta di depressione che mi ha accompagnata, depressione dovuta allo stato della mia deambulazione, sempre più complicata. Ho subito due interventi chirurgici, nel marzo 2021 e nell’aprile 2022. Adesso cammino col deambulatore e ho molti dolori. Quando ho visto la comunicazione di Valeria relativa alla ripresa degli incontri ho subito detto che mi interessava e di fatto è così ma poi, al momento di partecipare, non me la sono sentita, vuoi per una assurda vergogna, forse pigrizia e comunque per i dolori che sempre sono presenti. Mi rendo conto di chiudermi alle relazioni, facendo eccezione per poche amicizie, e questo non mi fa bene, lo so, ma è difficile vincere i sentimenti che mi bloccano. Voglio comunque mettercela tutta e quindi spero di essere presente a novembre. Colgo l’occasione per dirvi che da sempre mi sento appartenente a questo gruppo, che vi penso e vi voglio bene. Alla prossima, Carla

Vi racconto una storia a lieto fine

Sono Carla, mamma di quattro figli: Ivan, Cristiano, Benedetta e Veronica
Quando Veronica è nata, 40 anni fa, era bellissima. Ho potuto vederla un’oretta dopo il taglio cesareo ed era già vestita con un coprifasce delizioso, tanti capelli neri: era una meraviglia, mi è piaciuta da subito!
Veronica è cresciuta senza crearci problemi e, dopo aver sperimentato la fatica di gestire Benedetta, la sorellina disabile nata solo un anno prima, la sua presenza era una bellissima realtà!
Tutto è andato bene fino a che una insegnante della scuola media mi ha convocata per dirmi che mia figlia non era serena e per chiedermi come andassero le cose in famiglia.
Il nostro contesto famigliare era questo: noi genitori, entrambi lavoratori, i nonni materni nn conviventi ma molto presenti per darci una mano, due figli di diversi anni più grandi delle sorelline, Benedetta disabile e da ultimo Veronica. Quello che si evidenziava era che Veronica era sola e le toccava fare i conti coi fratelli che non avevano gran che cura di lei e una sorella, con mille problemi, che assorbiva tutte le energie di noi genitori per i tanti bisogni che comportava la sua disabilità.
La comunicazione dell’insegnante mi rendeva ancora più consapevole della situazione, mi sentivo impotente e desideravo solo prenderla fra le braccia e darle tanti baci.
Negli anni a venire il malessere di Veronica si è manifestato in vari modi: frequentazioni che mi preoccupavano, anoressia e anche assunzione di alcool e droghe leggere. Cosa potevo fare?
Stavo male e anche lei stava male ma era chiusa nel suo guscio, serbava un rancore che non esprimeva, la situazione sembrava essere senza via d’uscita.
Inaspettatamente , quando Veronica aveva circa 20 anni, una nostra cara amica le ha fatto una proposta: andare a fare un pellegrinaggio a Medjugorie con altri giovani, gratuitamente, perché una ragazza aveva rinunciato. Dopo averci pensato mia figlia ha accettato ed è tornata dal pellegrinaggio cambiata: la Madonna aveva toccato il suo cuore.
Dopo questo evento benedetto Veronica è entrata in una Comunità di recupero per ritrovare se stessa.
Dopo tanti anni, quasi 10, si è sposata con un giovane ex tossicodipendente e dopo il matrimonio hanno lasciato la comunità. Successivamente hanno avuto due bellissime bimbe.
Purtroppo però il rapporto madre-figlia era ferito, lei inconsciamente mi accusava di preferirle Benedetta: tanti fraintendimenti, incomprensioni fino a che, anche grazie alla sofferenza che ha accompagnato in questi ultimi anni la mia salute, sofferenza che mi ha cambiata, ho deciso di scriverle a cuore aperto dicendole quanto le volevo bene e quanto non ci eravamo capite. Questo scritto è stato una benedizione. Lei lo ha accolto molto bene.
Adesso siamo ancora in cammino nel nostro rapporto ma l’ho ritrovata, ho finalmente la figlia che per anni avevo perduta. Ci dichiariamo il bene che ci vogliamo e ci sentiamo quotidianamente per condividere la nostra vita.

Grazie Signore!!! Accompagnaci, tienici per mano, non lasciarci mai.

Mamma Carla

vi racconto la mia vita

La mia vita: la bambina e la donna
Sono Carla, ho 77 anni e si può
dire che sono ormai anziana!!! Nonostante questo il mio cuore è pieno d sentimenti, di nostalgia, di tanto amore
Ma parto da quando ero bambina
La mia infanzia, già nel seno materno, è stata costellata da traumi e delusioni
Sono nata durante la seconda guerra mondiale : la mia mamma, che mi aspettava, ha vissuto il terrore delle bombe, il riparo nei rifugi e io con lei, essendo nel suo grembo Qualcuno dice che un bimbo in gestazione vive tutte le paure della propria madre e questo “mi è toccato” Ad un certo punto la mia famiglia è “sfollata” fino alla mia nascita e per alcuni mesi, i successivi al parto,  c’è stata una certa tranquillità. Siamo poi venuti a Milano, a fine guerra, con la nonna paterna che ha sempre vissuto con noi, essendo vedova d figlio unico Peccato che fosse da sempre in conflitto con mia mamma al punto che io, man mano che crescevo, ero sempre più la “sua” bambina e vivevo il rapporto con mia madre quasi fosse una trasgressione o un torto alla nonna A volte mi chiedo come ho potuto reggere ad uno stress così pesante e duraturo nel tempo.
Quindi fra liti famigliari Intervallate da momenti d serenità, quando stavo fuori casa coi miei genitori a fare delle passeggiate nei boschi, sono diventata una ragazza adolescente e ho cominciato ad avere un rapporto complicato col cibo Da 60 kg sono scesa a 45 e mi sentivo più leggera dentro, più libera da tutti i condizionamenti vissuti in famiglia, più libera dal sentimento d colpa per nn riuscire a scegliere da che parte stare (nonna o mamma?) Era un travaglio interiore pesante, nn potevo lasciarmi andare nel rapporto con la mamma perché avevo sempre addosso gli occhi  della nonna che in qualche modo controllava i miei “sentimenti”
Io nn ricordo momenti d coccole da parte d mia mamma, nn poteva farmele, era guardata a vista sempre dalla nonna
Qualcuno si starà chiedendo “dove” fosse mio papà, come presenza, in questa famiglia patologica
Lui amava tanto sia me che sua moglie ma sentiva anche il dovere d proteggere sua mamma e quindi era “fra due fuochi” e nn prendeva una posizione chiara Adesso sento per lui una grande tenerezza 🥰

In tutti gli anni a venire ho sempre convissuto con un disturbo alimentare, quello d cui parlavo più sopra, e questa “ferita” ha portato nel mio fisico gravi conseguenze
Dal punto d vista sentimentale ho avuto storie con varie persone, storie che viste oggi mi fanno capire come io nn mi apprezzassi come persona, forse cercavo qualcosa che riempisse il vuoto che avevo dentro  Poi finalmente ho trovato un uomo serio con la quale mi sono sposata Abbiamo avuto 4 figli, la terza disabile e abbiamo realizzato una bella famiglia Ma io? Io nn stavo bene, nn ho mai “ritrovato” né la pace interiore che il rapporto libero con mia mamma: lei era lontana, lo è stata sempre fino a quando il buon Dio l’ha chiamata a sé
Oggi, dopo una caduta e conseguente frattura del femore, faccio i conti con la mia disabilità e vivo con speranza sapendo che Dio Padre nn mi abbandonerà mai, che si prenderà cura d me ogni giorno e, chissà che, nei tempi che solo Lui sa, mi guarirà.
Grazie per l’attenzione amici,
Carla

Neve

Nevica da ore.  I fiocchi volteggiando si posano sul prato e sul vialetto di casa, provati da un lungo viaggio. Il paesaggio è incantato: tutto tace, la pace mi avvolge; si ode solo il rumore dei miei stivali che sollevano la soffice neve. Divertita ne prendo una manciata e la passo sul viso come facevo da bambina, quando fingevo di truccarmi.

Anche Mel, la mia cagnolina, incuriosita dalla neve balzella qua e là come una capretta e sulle zampe le si formano piccoli ghiaccioli simili a calzini intonati col pelo nero e riccioluto. Corre veloce nonostante la neve e io fatico a tenere il suo passo… si diverte tanto!

Con gli schiamazzi lontani dei bambini la mia mente fruga nel passato e i ricordi ritornano più vivi che mai. Un sorriso si stampa sul mio volto: ero bambina e guardavo la neve dalla finestra con il nasino all’insú. Immaginavo che mi cadesse addosso; ma la finestra era chiusa. Stavo finendo i compiti, ma mi distraevo in continuazione, tanta era la voglia di raggiungere gli amici giù nel prato che stavano facendo un pupazzo di neve. Terminati i compiti, mi preparai frettolosamente.

La mamma aveva  lasciato sull’uscio gli stivali di gomma neri che, ahimè, lasciavano passare il freddo, e i calzettoni che mio fratello portava per le passeggiate in campagna con il papà e, benché mi andassero larghi, li indossai volentieri. Nella tasca della giacca a vento riposi un sacchetto con bottoni colorati per decorare il pupazzo di neve.

Una volta scesa, gli amici mi accolsero tirandomi delle palle di neve che finirono puntualmente all’interno del collo della giacca a vento. Dopo la corse sfrenate sulla neve  ci divertimmo lasciandoci cadere all’indietro  e, assetati e incuriositi, assaggiammo la neve. Com’era buona!

Venne il momento di pensare al nome da dare al pupazzo. Subito ci trovammo d’accordo con Gelo. Sarebbe stato di buon auspicio: così avrebbe tardato a sciogliersi.

Le ore trascorrevano velocemente e il nostro Gelo prendeva forma. Quando l’avevamo ultimato eravamo saltellanti per la gioia: era bellissimo ed elegante con i miei bottoni! Quando il sole era già calato la mamma chiamò più volte dalla finestra avvisandomi che stava per scodellare la minestra. Salutai gli amici e Gelo, stanca e contenta.

Rientrando a casa rimasi con i piedi nudi sul pavimento riscaldato dai pannelli; avevo la sensazione che truppe di formiche li solleticassero tanto erano freddi, innescando una reazione di forte prurito.

A tavola, mentre divoravo la cena, raccontavo soddisfatta ai familiari del pomeriggio trascorso. Dopo, pensando al pupazzo che mi avrebbe atteso il giorno dopo per essere abbellito ancora di più, caddi un un sonno profondo.

Sognai  Gelo. Era elegantissimo: indossava un frac, un cappello a cilindro e un papillon a pois rossi e bianchi e aspettava solo di essere invitato a casa di nonna Betta (la nonna di Silvia, Rita e Luigino) che ci avrebbe preparato un tè caldo con fette di pane e marmellata di fichi fatta in casa.  Per concludere il pomeriggio avremmo giocato alla tombola degli animali ma, ahimè, il povero Gelo non poteva entrare in casa a farci compagnia, altrimenti avremmo assistito al suo dis-Gelo… Con coraggio riuscimmo a convincerlo a rimanere fuori e promettemmo di salutarlo dalla finestra.

Mi svegliai la mattina seguente ristorata dopo il lungo sonno e, mentre mi preparavo per recarmi a scuola, pensavo che sarebbe stato bello se nonna Betta ci avesse invitati davvero per la merenda: avremmo potuto ammirare Gelo dalla finestra tra una fetta e l’altra di pane e marmellata… Chissà, forse il sogno si sarebbe avverato.

Oggi, ritrovandomi in questa distesa di neve in compagnia di Mel, come potrei dimenticare che quel sogno si è poi avverato?

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