Tutti gli articoli di Valeria Giacomello

L’uomo più importante

Papà, radice e luce,
portami ancora per mano
nell’ottobre dorato
del primo giorno di scuola.
Le rondini partivano,
strillavano:
“fra cinquant’anni
ci ricorderai”.

Maria Luisa Spaziani, Papà, radice e luce

Una passata di rossetto leggero sulle labbra, due gocce di profumo ai polsi, mi do un’ultima occhiata allo specchio. Sono pronta.All’uscita di casa vengo salutata dalla bellissima giornata di sole, una carezza di calore sulla pelle ad annunciare che la primavera è alle porte e la vita si risveglia. Mi sento carina e leggera nel mio vestitino a fiori mentre mi reco all’appuntamento con l’uomo più speciale di tutto il mio mondo. Eccolo lì, già seduto al tavolino del bar, che mi sta aspettando.
Mi vede arrivare e mi saluta con un grande sorriso e gli occhi luccicanti di gioia.
«Ciao papà, che bello rivederti!» esclamo mentre mi faccio avvolgere dal suo abbraccio, morbido e rassicurante.
«Mi sei mancato, papi. Non farmi più questi scherzi di non farti vedere così a lungo. Sei che ho sempre bisogno di sapere tutto, come stai, se va tutto bene, se sei sereno».
Lui mi rivolge uno di quei suoi sorrisi dolci, quasi malinconici, che hanno sempre avuto il potere di smuovermi un mondo dentro al cuore.
«Eh, come vuoi che vada. Tutto il giorno nel mio laboratorio a ricavare porta penne con i ferri di cavallo. Che fra l’altro ho quasi esaurito. Quando me ne porti altri?»
Ora, mio padre chiama laboratorio un cantinotto buio e polveroso che, secondo me, non gli fa neanche troppo bene alla salute ma, finché si tiene occupato, tutto sommato è il male minore e quindi lo assecondo.
«Presto ti porto altri ferri, non è che posso sferrare i cavalli apposta con quello che costa il maniscalco, non ti pare?».
Dalla sua smorfia poco convinta capisco che sì, a lui invece parrebbe. Ma preferisce cambiare discorso.
«Ordiniamo?».
Faccio un cenno al cameriere: «Due cappuccini con molta schiuma e una spruzzata di cacao».
Quando arrivano, mio papà si tuffa goloso nella sua tazza. Ne riemerge con i baffi bianchi e marroni. Prendo un tovagliolino, ridendo: «Fai proprio come i bambini! Aspetta che ti pulisco la faccia, non ti si può guardare!».
Torniamo seri, come se avessimo esaurito gli argomenti della classica conversazione di chi non si vuole impegnare in qualcosa di più coinvolgente, forse per pudore di mostrare i propri sentimenti. Quante cose vorrei dirti, papà mio! Sono stata una brava figlia? Ho mai saputo farti capire quanto io ti ami e quanto bisogno ho sempre avuto di te? Ti ho reso felice?
Chissà se anche il tuo silenzio è, come il mio, riempito da mille domande inespresse. Vorrei non lasciarti andare più, ti afferro le mani, come se bastasse per trattenerti ancora. Ma il tempo stringe inesorabilmente. C’era il sole, ora il cielo è già buio. Come è possibile?
«Sai che devo andare ora», mi sgrida con gentilezza staccandosi dalla mia presa.
«Lo so, papi. Ma è troppo triste questo pensiero. Quando ci rivedremo?»
«È compito tuo più che mio. Io faccio tutto il possibile ma sei tu che mi devi chiamare, è così che funziona».
«Va bene, papà. Allora ti lascio andare, per il momento. Arrivederci al prossimo sogno!».

Lettera a mia figlia

Così finalmente sei qui con me, ecco come ci si sente. Ho avuto 9 mesi di tempo per fare le prove ma nulla avrebbe mai potuto prepararmi a questo momento così perfetto, dove tutto è amore e marca la differenza fra prima di te e ora che tu ci sei.

Quanto dolore figlia per partorirti, quanto dolore. Dicevano che nel momento in cui ti avrei avuta fra le mie braccia avrei dimenticato tutto ma non è stato così, ricordo esattamente ogni momento del travaglio che sembrava non dover finire mai. Ora però che ci sei, che assaporo il tuo innocente calore, sento che tutto ha avuto senso. Le mie battaglie, le mie gioie e i miei dolori, la fatica di vivere, l’amore dato e ricevuto, i desideri realizzati e anche gli insuccessi, la mia vita intera non è stata altro che una lunga preparazione per arrivare a te e solo ora tutto è perfetto.

Vorrei poterti promettere che il mondo con te sarà buono, che conoscerai solo cose belle e amore infinito. Mentirti sarebbe facile, non sai ancora nulla. Forse potrei tenerti nascosta per sempre, lontana dalle sofferenze e dalla cattiveria, ma so di non poterlo fare perché la vita va sempre avanti come un fiume in piena e non possiamo che seguirne la corrente.

Posso però giurarti che sarò ogni giorno al tuo fianco, ad affrontare insieme a te qualsiasi momento con il coraggio e la forza di una tigre. Giocherò con te e ti farò ridere anche quando i miei occhi si chiuderanno dal sonno. Ti curerò quando ti ammalerai e renderò più dolce ogni tua attesa. Raccoglierò le tue prime lacrime d’amore, ti spiegherò le cose della vita mettendoci tutta la mia anima e la mia esperienza. Farò tutto, tutto quanto in mio potere per proteggerti sempre dal male del mondo e consolarti quando farai fatica.

Ascolto il tuo respiro mentre osservo il tuo piccolo petto sollevarsi ritmicamente nel sonno.  Chissà cosa stai sognando in questo preciso momento, forse i ricordi di quando eri dentro di me e tutto era ovattato, rassicurante. Il tuo mondo era piccolo e aveva i contorni tondi della mia pancia. Quante carezze su quel pancione che ogni giorno cresceva pieno di promesse.

Ti muovi piano e fai delle deliziose smorfiette toccandoti la bocca con le manine paffute. Una, due, tre… conto le tue piccole dita così tenere, così perfette da farmi commuovere. Tutto in te è perfetto e sa di noi, perché oggi è iniziata la nostra avventura.

Per te ci sarò sempre. Ci sarò anche quando sbaglierai, perché purtroppo ogni tanto è destino che accada, e se persino il mondo intero ti abbandonasse io sarò ancora lì, accanto a te, a difenderti da tutto e tutti perché sono la tua mamma. Amore mio infinito, vita mia, sarò la tua mamma per sempre.

L’ultimo concerto

Amo il colore azzurro. Lo trovo rassicurante, come quando alzo gli occhi e osservo il cielo che sembra esistere solo per me, che mi osserva dall’alto e mi convince che va tutto bene.
Sdraiata sull’erba fresca e soffice, concentro per un attimo l’attenzione sull’operoso frinire delle cicale.
TriTriTriTri… il loro canto un po’ stridulo suona alle mie orecchie assetate di natura come un vero e proprio concerto e lo assaporo mentre mi faccio cullare dal venticello che stempera il calore del sole.
Sarà l’ultimo concerto di questa estate. Domani tornerò in quella piccola ordinata scatola di piastrelle e mattoni che mi ostino a chiamare casa mia.

Ora però non voglio pensare a nient’altro, sono qui e sono felice. E questo basta.

Fiori freschi in dono

Oggi sono stata a portarti dei fiori freschi. Un mazzo bellissimo, il più bello di tutto il cimitero. Dovevi vedere con che sguardi di compassione mi guardavano tutti. Da quando te ne sei andato gli amici sono stati encomiabili, mi si sono stretti attorno e mi riempiono di attenzioni.

Questa casa mi lascia troppi ricordi dolorosi, ho deciso di venderla e quindi sto cominciando a impacchettare. Certo, mi hai reso questo compito particolarmente facile: ogni tua cosa tu l’avevi catalogata, organizzata, ordinata e riposta con un ordine perfetto. So esattamente cosa c’è, dove e perché.

Eh già, tu eri così: metodico, preciso e un po’ pedante. Con te le sorprese di certo non esistevano. Se posso permettermi, eri troppo metodico, preciso e un po’ pedante. Vivere con te era di una noia mortale. Io te lo ripetevo sempre: «Sorprendimi, fa’ qualcosa di diverso, esci dai binari!».
Ma tu niente. Mi spiace davvero per ciò che è successo, ma se fossi stato capace di venirmi incontro almeno un pochino di certo non ti avrei fatto mangiare quei funghi velenosi per cena!

Le ali della mosca

Avrò avuto una decina d’anni. La scena si svolge a Riccione, terra delle mie radici.

Sono a casa dei nonni, sto giocando con altri bambini. Uno di loro cattura una mosca, e con inconsapevole crudele indifferenza le strappa le ali. Io rimango a guardare la mosca. Gli altri si stancano ed escono a inventare nuovi giochi. Io resto con la mosca, che è ancora viva e arranca intorno. Cerco un rifugio sicuro dove posarla. Mi guardo attorno, ma alla fine capisco che non esiste un posto sicuro per una mosca menomata. Senza le ali, una mosca non è più nulla. Una mosca è fatta per volare, se può solo camminare la sua vita non ha senso.
Resto a pensare a lungo, poi alla fine decido per l’unica scelta che mi pare  possibile: afferro la mosca fra le dita, e la schiaccio.
Quanta pietà in quella apparente mancanza di pietà! Solo i bambini con i loro cuori innocenti sanno esserne capaci.
Ricordo di non avere pianto, ma quella mosca io non l’ho mai dimenticata. Tante, troppe volte, ho cercato le mie ali per volare fino al senso della mia vita.
Forse poi il senso della nostra vita è semplicemente racchiuso nel nostr sforzo quotidiano. Se è così, ogni vita è il racconto di un successo, una volta che impariamo la chiave di lettura.

Balla

Balla mia bella,
muovi i fianchi come onde
quando è buio e le luci sono
fuochi fatui nella notte.

Balla e sogna, e segui il tempo
con le dita, il tempo che
tra le dita scivola
fino a volare dentro al cuore
ma nel cuore c’è dolore.

Balla e ridi e agita la gonna,
nera fiamma
promessa di dolcezza e di dolore,
balla senza far rumore.

Segui i tamburi come in un sogno
dove i tuoi seni sono fuoco vivo,
balla e non pensare a domani
perché domani non può ferire.

Chiudi gli occhi lasciati andare,
lascia che sia e balla come mai
perché sei vera, sei viva
e lo sai.

Balla questo ritmo che sale
dalla tua anima negra che ti fa capire
che finché balli
non puoi morire.

Non pensare più al dolore,
o pensaci con amore.

Le ali della libertà

Dalle antiche vette
le braccia tendi
più in alto ancora
dell’azzurro nulla,
oltre il dolore,
più in là del mondo.

Librati spirito
spiega le ali
e va’…
Ti prego, oh prego,
vola
là dove è amore, e vita,
e luce, e gioia.

Dove sarai libero,
dove è già il tuo cuore,
dove il dolore
guarirà…
Oh vola!
Oltre le antiche vette
verso l’eternità.

 

Tua Valeria

Ricordo la prima volta che ci siamo conosciute.
Eravamo in quarta elementare, la sezione B della mitica maestra Balducci. Non ricordo il mese esatto, solo che l’anno scolastico era già cominciato. Bussarono alla porta ed entrasti tu, accompagnata da tuo padre. Timida e magra, con le gambette secche, tutta occhi e denti bianchi.

Tuo papà chiese se qualcuna di noi abitasse vicino a casa vostra, per riaccompagnarti a casa a lezioni terminate. Tu abitavi in via Kramer 29, io in via Kramer 35. Naturalmente alzai la mano e, il mio gesto, segnò per sempre la nostra amicizia.
Con mio grande rammarico non ho foto che ci ritraggono insieme in quel periodo. Però ricordo bene la scuola, i pomeriggi passati a fare i compiti a casa mia, le lezioni di catechismo in Oratorio, i giardinetti percorsi in lungo e in largo insieme ad Annalisa e Giuliana.

Ci separavamo solo nei mesi estivi: io a Riccione e tu a Soveria Simeri, perché alle nostre origini noi ci abbiamo sempre tenuto e, quando potevamo, tornavamo a casa. Alle medie tu decidesti di iscriverti alla Oriani per seguire le orme di tua sorella Brunella, mentre io, Annalisa e Giuliana ci iscrivemmo alla Locatelli, a pochi metri ma svariati anni luce di distanza. Noi con il grembiule nero, classe rigorosamente femminile e austera, tu in classe mista.

Scuole diverse ma, i pomeriggi, li passavamo sempre insieme. A casa mia a studiare un po’ a fatica, a casa tua a leggere i fotoromanzi di Brunella e a sognare improbabili avventure con Franco Gasparri. I nostri primi amichetti maschi, le nostre prime cottarelle le dobbiamo a te, che generosamente condividesti con noi i vari Bono, Roveri e Capelletti. È buffo, non ricordo i loro nomi di battesimo: avevamo mutuato la tua abitudine di chiamarli tutti per cognome, come in classe.

Poi le superiori, i primi fidanzatini ufficiali. Del tuo Noris io ero molto gelosa, perché per un po’ era riuscito ad allontanarci. Quando vi siete mollati ho fatto la Ola. Poi arrivò l’impegno politico. C trovammo anche noi a cantare insieme a Guccini “La locomotiva, come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia”. In classe non ci stavamo mai, però abbiamo costruito delle amicizie vere, quelle che durano per tutta la vita.
In quarta decidesti di emanciparti. Ti iscrivesti alle serali e, di giorno, andasti a lavorare dal dentista Perini come assistente di poltrona. Durò solo un semestre, il tempo di pentirti e tornare sui tuoi passi, che però ti costò l’anno scolastico. Classi diverse ma i pomeriggi sempre insieme al circolo giovanile Roberto Franceschi, a parlare di politica e a sognare la rivoluzione.

Poi le nostre strade si sono divise: io a Londra e in giro per l’Italia, tu trasformata in una madre bambina che, giorno dopo giorno, ha dovuto crescere insieme a suo figlio. Mi confidasti, anni dopo, che nei momenti difficili pensavi a me per darti forza. Quanto rimpiango ora di non esserti stata accanto! Nel 1991, al mio ritorno da Francoforte, tu invece c’eri. Ci sei sempre stata per me.

Negli anni ’90 tu il teatro, io il ballo e poi il giornalismo. Grandi passioni che, se pure ci allontanavano fisicamente, non hanno mai potuto separarci. Era come se il tempo non fosse mai passato. Eri la mia memoria storica, ricordavi tutto e tutti: volti, nomi, aneddoti, circostanze. Io al tuo confronto ero la “smemorata di Collegno”.
Però poi tu hai cominciato a dimenticare. Un episodio alla volta, pezzo per pezzo hai disfatto la tua vita. Pezzo per pezzo insieme alla tua hai disfatto anche la mia, perché senza di te come faccio a ricordarmi tutti gli aneddoti del nostro passato insieme?

Eppure l’amore profondo, l’amicizia, le risate, le litigate e le riappacificazioni, le confidenze, la sensazione di totale fiducia che ci hanno legate sono vivide come sempre. La mia mente ritorna con te sui banchi di scuola o ai giardinetti, mano nella mano come allora.
Dentro di me non è cambiato niente. Io ti ricorderò sempre, ricorderò anche per te.
Tua Valeria

Come un volo di aquiloni

Come un volo di aquiloni
Gioco colorato
Di anime gaie

Ecco il cielo è tuo
Blu profondo come quando cerca
Amante mai sazio
Le tue emozioni

Più in là dove il cuore batte
Ti abbandoni al vento
E ti innalzi come Icaro
Che sfidò il suo peso ma
Si ritrovò mortale

Senza più ali per volare
Senza più occhi per guardare
Senza più voce
Per chiamare indietro il tuo destino

Senza più ricordi
Senza più dolore
Solo un pianto di donna, rimane

 

 

 

I sogni degli angeli

Di cosa sono fatti i sogni degli angeli? Me lo chiedo ogni sera, quando pigramente appoggiata alle piume dorate lascio che la mente vaghi nell’infinito, nutrita dalla brezza fresca dello svolazzar di ali.
Io che non ho più sogni da offrire mi ci avvolgo come un mendicante al suo lacero cappotto alla disperata ricerca di un minimo calore.

I sogni degli angeli sono fatti di tiepida speranza. Tendo le braccia per colmare la distanza e mi proietto in alto fino a toccarli, emanazione di uno spirito sconosciuto, zattera che ci sorregge lungo il naufragio che noi chiamiamo vita.
I sogni degli angeli sanno di pane e zucchero e lasciano nel cuore un sapore dolce che persiste all’alba.
Mi ci aggrappo ancora un po’, prima che il mattino riempia ogni angolo buio e cancelli il mistero.