Ecco, sono tornati. Un po’ presto rispetto agli ultimi anni.
La mia sveglia naturale, la mia poesia mattutina.
Gli uccellini sugli alberi!
Nel passato mi svegliavo con il loro canto, e rimanevo nel letto per ascoltarli.
Mi alzavo e mi preparavo il caffe, la Moka. Poi assaporavo quel liquido scuro e bollente, fuori nel balcone. L’aria frizzante sul mio viso.
Sentivo l’energia diffondersi nel mio corpo e mi caricavo per tutta la giornata. Un leone pronto ad affrontare qualsiasi cosa.
Ora, mi svegliano troppo presto, dopo una nottata piena di sogni dove devo difendermi sparando e non riesco a caricare le munizioni. Forse gioco troppo agli spara zombie. Il mio sonno è spesso interrotto.
E poi mi mettono ansia. Si ansia. Purtroppo il loro cinquettio mi ricorda quei giorni in cui eravamo obbligati a restare chiusi in casa.
Sapevo che quel suono pre annunciava un’altra giornata uguale a quella di prima. Colazione e apertura del PC per lavorare in smart working. Pranzo in compagnia di mio figlio e poi ancora lavoro. Cena con mio figlio e letto. Giornate tutte uguali. Senza sapere quando saremmo usciti da questa crisi.
In effetti però ne siamo usciti.
E allora magari questa mattina mi farò un caffè e lo berrò fuori nel balcone.
Elogio
Ci conoscevamo da più di vent’ anni.
Sorrido al tuo pensiero. Di sicuro io conosco lati della tua vita che neanche la tua famiglia conosce.
Appena assunta ti chiamavo “Dottore”, lo pretendevi da tutti i tuoi dipendenti.
Ma da lì a poco, complice la mia sfrontatezza, ho ottenuto il permesso di usare il tuo nome in privato, e poi, più avanti, davanti a tutti.
Ti conoscevo bene. Sapevo cosa ti faceva arrabbiare e cosa ti compiaceva.
Un punto fermo della tua vita, la tua famiglia. Tua moglie e i tuoi figli.
Ci sono stati periodi che l’hai messa a rischio per un capriccio. Per lo stesso capriccio hai messo fine ad un’amicizia che aveva creato il tuo gioiello: la tua azienda.
Lei, la tua creatura. L’hai fatta nascere, modellata, nutrita. E quando è diventata grande e sicura ne hai fatto la tua sala giochi.
Tutto girava intorno ad un unico obiettivo. Chiudere l’ultima grande trattativa del momento. Non importava se si trattasse di acquisto e vendita di merci o di servizi. L’importante per te era sedersi al tavolo da gioco con gli altri giocatori. È come il poker, giocare con le tue carte, a volte bleffando. Alzarsi da quel tavolo sapendo di aver chiuso un affare.
Certo i soldi non li disdegnavi, anzi. Chi ti conosceva superficialmente ha sempre pensato che tu ammirassi il dio denaro, ma la verità era che ti sentivi vivo solo quando potevi giocare. I soldi erano solo una conseguenza di quanto eri bravo.
Nonostante gli ultimi tempi non lavorassi più in azienda, continuavi nel tuo privato a divertirti. Era più forte di te.
Era una giornata di sole, io stavo parlando di te con un cliente a pranzo, mentre i medici cercavano di salvarti la vita. Da li a poche ore, ricevevo la notizia che tu non c’eri più.
Ora sei nella tua ultima dimora. La terra ti accoglie. Tutto ciò che di terreno hai lasciato non lo puoi portare con te. Molti vedranno solo questo. Io con me porto l’esperienza che ti ho rubato per tutti questi anni.
Sorrido guardando il tuo ufficio vuoto. So che non tornerai, ma spero, che in qualche modo, mi guardi mentre chiudo la mia ultima trattativa e sorridi anche tu pensando che questo è anche un po’ merito tuo.
Vaghar
Sono appena uscita dall’acqua, dopo aver nuotato da una riva all’altra del lago. Inzuppata fradicia e ansimante guardo la mia città dall’altra parte che brucia. Il fuoco prende il sopravvento su ogni cosa. Vedo gente che corre all’impazzata o che si butta in acqua. Sento le loro urla di paura, di dolore.
Nessuno cerca di spegnere il fuoco, sanno perfettamente che sarebbe tutto inutile.
Lui è ancora lì. Lui sta per tornare. Lui non si fermerà fino a quando l’ultimo edificio di Faluce sarà ancora in piedi.
Sento i polmoni che fanno fatica a riempirsi. E come se il vento avesse deciso di trasportare il fumo acre tutto nella mia direzione. Questa cortina scura e densa nasconde la luce del giorno.
Fisso il cielo sopra la mia città.
Una parte di fumo sembra muoversi.
Eccolo. Da quella massa gassosa compare il suo muso spaventoso.
La sua pelle dura e piena di spuntoni fa da contorno alla sua bocca semi spalancata. Mette in mostra i suoi denti aguzzi e affilati. Sembra mostrare un ghigno diabolico. Poco più sopra i suoi occhi rossi e malvagi contornati da dure corna.
Mentre avanza scorgo il suo collo lungo e sottile. Le ali spiegate e immense
Sembra puntare dritto verso di me. Il terrore mi assale, ma sono come ipnotizzata mentre guardo questo essere possente e maestoso.
Ad un tratto sembra cambiare idea e vira, tornando indietro.
La sua coda sinuosa sposta l’aria davanti a me talmente forte che a momenti cado.
Punta ancora verso Faluce. Appena sopra alla città apre le sue fauci e incomincia a sputare ancora fuoco
Non c’è speranza per chi è rimasto.
Lui è Vhagar, l’ultimo drago rimasto.
Domeniche
“E adesso a casa” – La voce di mio padre che guida l’auto. Io, seduta nel sedile dietro, rivolgo il viso al finestrino.
Fuori è buio, ma le luci della città di Milano, colorano di arancione le gocce sul vetro.
Una domenica sera, come tante. È diventata una routine.
La domenica a pranzo fuori. I miei genitori, i miei fratelli, mia sorella con mia nipote e suo marito.
I nostri ristoranti preferiti sono il Silos a Settala, oppure il Cà del Gulascia a Spino D’Adda.
Ma ogni tanto proviamo anche ristoranti nuovi che hanno appena aperto, come il Clara, ma quest’ultimo non deve essere stato proprio eccezionale.
A tal proposito, vi va di sapere come mia madre e mia sorella scelgono se entrare o no in un nuovo ristorante?
Di questi tempi non esiste ancora internet con cui scandagliare il web alla ricerca di recensioni o foto, per capire se il locale merita.
Quindi si viene a conoscenza del nuovo locale tramite passaparola, oppure cartelloni pubblicitari sulle strade in transito.
Ma come decidere se entrare o no dentro al ristorante e sedersi?
Ecco è qui che mia madre e mia sorella entrano in gioco.
Immaginate due macchine che si fermano al parcheggio del ristorante. Da ogni macchina scende una donna e insieme entrano. Dopo una decina di minuti escono. Se entrano in macchina, allora si cambia ristorante, altrimenti si avvicinano al finestrino del guidatore e danno la loro benedizione per entrare.
Voi penserete che sono andate dentro a guardare il menu, ed invece no. Hanno chiesto di andare in bagno.
Se il bagno è pulito e in ordine, allora il ristorante ha passato l’ispezione.
Comunque, dopo l’abbuffata al ristorante ogni famiglia torna a casa. Generalmente i grandi si fanno il pisolino di un oretta.
Nel pomeriggio tardi, mio padre sfoglia il giornale e guarda la programmazione dei cinema, qui in città.
Sceglie il film e porta noi bambini al cinema. Il Maestoso è uno dei miei preferiti.
Tutto molto bello. Ma il momento migliore è quando torniamo a casa.
Qui seduta dietro a mio padre che guida, guardo questa città attraverso il vetro dell’auto. Come dicevo, anche se fuori è notte, le luci di Milano mi scaldano il cuore. Socchiudo gli occhi, sono serena, sono felice. Vorrei che non arrivassimo mai. Vorrei sentirmi così per sempre. Appagata da una giornata in famiglia, godereccia e divertente.
Il ciclo della vita
Per tutto questo tempo sono rimasta in compagnia delle mie sorelle. Tutte insieme abbiamo viaggiato per molto tempo. Visitato un sacco di posti. Osservato tante città.
Ci troviamo a Genova, vicino al mare. Sento l’odore della sua aria salmastra. Vedo i bambini accompagnati dai genitori che entrano all’acquario. Sarebbe piaciuto anche a me vedere quello spettacolo sommerso, ma non posso.
È ora di partire dobbiamo fare molta strada. Più andiamo avanti più sento freddo. Noto quel colore bianco che ricopre la roccia. È così luminosa…. Chiedo a mia sorella dove ci troviamo e lei risponde: “Monte Bianco”
Mi avevano raccontato di questo posto, ma per me è la prima volta che lo vedo. Sono là, immobile affascinata dallo spettacolo, quando sento uno stridio alle mie spalle e il suono di un battito di ali. Mi volto e la vedo nella sua maestosità di apertura alare, un’aquila reale. Che animale stupendo.
Ma eccoci pronti a ripartire…
Superiamo il Duomo di Milano. Andiamo oltre, nella provincia.
Il cielo si fa scuro. Vedo la luce dei lampi e sento il rumore dei tuoni. Mi spaventano
Mi hanno raccontato che quando il cielo diventa così, la nostra vita termina. Ho tanta paura, mi guardo attorno e vedo lo sguardo delle mie sorelle. Alcune hanno dipinto sul volto il mio stesso terrore, altre sembrano sogghignare.
Ad un tratto mi sento pesante, molto pesante. È questo l’inizio della fine?
Improvvisamente la sensazione che provo è come se una botola si aprisse sotto di me… E precipito. Sento l’aria sferzare il mio viso, sono terrorizzata. Sicuramente finirò schiacciata sul terreno. Ecco è la fine.
Plick!
Con mia sorpresa atterro sul morbido. Che strana superficie liscia e calda. Altre mie sorelle atterrano vicino a me. Noto che ci sono altre mie simili, ma non siamo sorelle. Loro sono diverse. Mi avvicino, sono tristi. Il loro odore mi ricorda l’aria salmastra di Genova.
Scivolo via lentamente da quella superficie morbida e calda. E poi cado sul terreno.
Guardo in alto, ed è allora che vedo dove ero prima.
Una donna
Vicino a me una delle mie sorelle. Le chiedo: “Chi erano quegli esseri simili a noi, ma dall’odore salato?”
La risposta: “Lacrime di donna”
Ci penso su.
E domando: “Da dove nascono le lacrime di donna?”
Mia sorella con un tono quasi materno mi risponde” Dal cuore”
Poi mi ricordo che adesso siamo sul terreno e allora una certa inquietudine cresce in me.
Spaventata esordisco: “E adesso che succede? Siamo destinate a morire qui?”
Lei sorridendo mi risponde: “Ma no sciocchina, adesso aspettiamo di evaporare e di tornare su un’altra volta”
Mi rassereno. Allora non è finita.
Loro credono in me
Tra un paio d’ore devo essere in ufficio. Sono quasi ventidue anni che lavoro nella stessa azienda e non mi ricordo nemmeno un giorno cosi duro.
Da qualche mese mi hanno aggiunto ufficiosamente un’altra mansione. Responsabile ufficio vendite oltre che contabile.
Il fatto è che sono entrata in una realtà dove l’azienda non naviga in buone acque e sono molto preoccupata per il nostro futuro. La direzione non sta effettuando una politica di analisi di commessa o analisi di costi, nessun controllo di liquidità. Io cercherò di propormi come responsabile di queste procedure per cercare di salvare capre e cavoli, ma nel frattempo altri responsabili cercano di mettere i bastoni fra le ruote.
Ogni giorno combatto con altri colleghi che non vorrebbero che io riuscissi ad ottenere quel posto. Nei giorni scorsi spesso mi sono sentita abbattuta, tanto da avere voglia di mollare. Ma tra le mie file si sono aggiunte quattro donne che mi seguono e lavorano duramente. Ogni volta che mi sento spossata e avvilita, una di loro mi affianca per qualche lavoro e io la guardo negli occhi. Loro hanno fiducia in me. Loro mi appoggiano. Come posso io mollare? Devo andare avanti anche per loro.
Che peso. E se non ci riuscissi? Se la direzione non dovessi darmi l’incarico? O peggio. Se mi dessero l’incarico e io non riuscissi nell’intento? Comunque ci proverò, non ho molta scelta, lo devo almeno a loro che credono in me.
Io ti ho sognato
Non so come ci siamo incontrati, so solo che ti conosco.
Abbiamo passato del tempo come conoscenti, e ci siamo visti tutti i giorni da settimane. Ma adesso sento il peso della tua prossima partenza. La fuori, una guerra assurda che potrebbe non farti tornare.
Ti guardo, il tuo viso dalla carnagione abbronzata, illuminato da un sorriso bianco e contornato da un pizzetto scuro. Ho voglia di baciarti, ma ho paura che tu possa non contraccambiare.
Sei qui davanti a me, la tua voce profonda mi accarezza la pelle, le tue parole scivolano sulla mia schiena. Un calore mi assale. Penso ai giorni che mancano alla nostra separazione e poi forse non ci vedremo più. Non ho niente da perdere. Ho deciso.
Mi avvicino a te, riducendo la distanza dei nostri corpi, tu smetti di parlare e il tuo sorriso scompare, ma i tuoi grandi occhi castani fissano i miei. Il mio cuore accelera i battiti. Le tue mani afferrano le mie braccia attirandomi a te. Ora i nostri corpi sono cosi vicini che sento anche i battiti del tuo cuore. In un attimo le nostre labbra calde si sfiorano. Solo un attimo, solo un assaggio. I nostri sguardi si incrociano, il respiro affannoso. E allora ci baciamo stringendoci l’uno all’altra, le tue mani afferrano il mio volto e mi baci come se volessi mangiarmi. I vestiti cadono, le nostre mani e le nostre labbra sfiorano la nostra pelle. Facciamo l’amore. Dolce passionale come due persone che si prendono tutto il tempo che gli resta.
Poi tra le lenzuola, mentre la mia testa si appoggia al tuo petto e tu mi accarezzi i capelli, ti dico che non voglio che tu parta. Tu afferri il mio viso e sorridendo mi dici che devi partire per forza. Io chiudo gli occhi per cacciare via quel pensiero. Li riapro. Intorno a me solo il buio della mia stanza. Allungo la mano per cercarti dall’altra parte del letto. Il vuoto. Il silenzio. Ecco la parte più brutta, sospiro forte, per calmare il mio cuore da tutta la passione ricevuta e silenziosamente parlo al mio cervello: “ Era solo un sogno!”
Dopo un ora non riesco ancora a prendere sonno. Il sogno era così vero. E allora mi chiedo, ma se io ti ho ti ho sognato ed eri così reale, non può essere che dall’altra parte del mondo ci sia lui che abbia sognato me?
Narcisista Patologico
Rido. La mia risata non è una di quelle fragorose e aperte, di quelle che chiunque ti senta si volti e che diventa subito contagiosa. La mia risata si nota appena con un piccolo cenno delle mie labbra, che si incurvano all’insù. Ma rido piena di soddisfazione. Mi fa ridere un uomo di 55 anni che si comporta come un bambino. Un bambino che crea video per accrescere la stima per se stesso.
Fai tutto da solo. Al mio paese si dice: ”Tu te la suoni, tu te la canti”
Parli di vipere, e chi sarebbero le vipere? Le tue vittime sono le vipere?
Non hai la capacità di guardarti allo specchio, perché non vedresti niente. Tu non hai una tua immagine propria. Tu riesci a vedere soltanto il riflesso che costruisci negli occhi delle tue vittime.
Nei tuoi profili ti definisci generoso e altruista.
Perché non racconti la verità alla tua vittima di turno? Perché non racconti che il tuo matrimonio è naufragato perché sei stato tu a tradire?
Perché racconti che il tuo successivo rapporto è durato solo due anni, quando la verità è che è durato più di dieci anni. Perché non racconti che questa donna, che non ha mai avuto figli suoi, ti ha aiutato a crescere tuo figlio e che il vostro rapporto è finito perché hai tradito anche lei.
La tua vita è costellata di bugie e di tradimenti, complici i tuoi parenti. Una madre che all’apparenza sembra una donna irreprensibile e magari anche devota ad una chiesa cattolica, ma che alla fine si rivela la peggiore delle donne, complice di un figlio che oltre a fare male ad altre donne cresce un figlio passandolo da una situazione ad un’altra con la stessa facilità con cui si cambiano le mutande ogni giorno.
E ora ti spiego perché rido. Tu crei questi video perché sei convinto che le tue vittime li guardino e provino invidia per la tua vita amorosa, pensi che le tue vittime si struggono perché un’altra in quel momento vive con te quegli attimi finti. Eh si! Finti! Non hai ancora capito che le tue vittime adesso ti conoscono e adesso sanno quanto tu sia finto. L’unica sensazione che possono provare è pena. Pena per la tua vittima di turno. E rido. Perché adesso io ti vedo per quello che sei. Un pagliaccio che si dimena per cercare di creare uno spettacolo, per noi che siamo gli spettatori in un’arena dove sei solo tu l’interprete della tua vita vuota.
Io non ti ho visto nascere
Io non ti ho visto nascere, e questo ancora adesso mi fa stare male.
Per molto tempo ho avuto la sensazione che mi mancasse una parte, come se non fossi una mamma completa. Non ho sentito il tuo primo pianto, il tuo primo respiro. E ancora adesso dopo venti tre anni mi manca.
Quando ho scoperto di essere incinta dopo due giorni siamo partiti in macchina e mentre eravamo in vacanza ho avuto delle perdite
Avevo già perso un bambino e non volevo perdere anche te
Siamo stati in ospedale e mi hanno fatto delle iniezioni. Poi qualche giorno dopo mi hanno fatto un’ecografia. Su quel lettino con le braccia incrociate sul petto aspettavo solo un brutto verdetto, poi un suono assordante ma ritmico e il dottore mi disse: “Signora lo sente questo rumore? E’ il battito del cuore di suo figlio”. Piansi. Era un pianto di felicità, un pianto d’amore
Non posso dire di aver avuto una brutta gravidanza, non ho sofferto di nausea e ho avuto poche voglie.
Mi ricordo di aver sentito esattamente quando ti sei girato. In quel periodo stavo lavorando al bar alla cassa. Ero in piedi, in pieno orario di punta, nel trambusto della lunga fila davanti a me e mentre ordinavo a tua zia i panini da mettere a scaldare, ho sentito la tua capriola. Mi sono congelata e sbarrando gli occhi verso tua zia ho esclamato:” Si è girato!” In quel momento il tempo si è fermato. Tu piccolo esserino dentro di me.
Mi ricordo che quando andavo a sdraiarmi a letto, spesso e volentieri puntavi i tuoi pedini verso i miei polmoni e spingevi. A me mancava il respiro e dovevo accarezzarti parlandoti per farti ritornare in posizione
Ma il parto è stato un viaggio
Sei nato diciotto giorni dopo la data di scadenza, la prima data presunta, ma fino a tre giorni prima non volevi nascere. Il Dottore mi disse: “Il bambino è ancora in alto, non si è ancora preparato a nascere”
Poi i primi dolori alla sera. Era sabato. Siamo andati in ospedale e l’ostetrica mi disse che quei dolori avrebbero dovuto essere almeno il triplo. Fuori c’erano tutti tuoi parenti. Fecero entrare mia madre che era agitatissima. Forse un pensiero inconscio si insinuò in me. Se lei, che aveva avuto sei figli e aveva visto nascere quattro nipoti prima di te, era così agitata, allora avrei dovuto esserlo anche io. Alla fine decisero di tenermi in ospedale perché inaspettatamente mi si era alzata la pressione.
Morale della favola tutta la domenica e il lunedì ho camminato lungo il corridoio del reparto, dando le doglie mai abbastanza forti. Martedì mattina il ginecologo, vedendomi ancora così, decise di farmi partorire ad ogni costo. Tentarono di tutto: ossitocina, dilatazione manuale, ma dopo avermi rotto le acque, il tuo cuore rallentò bruscamente. Cesareo d’urgenza. Mi prepararono in pochi minuti. In pochissimo tempo ero sotto la lampada della sala operatoria. L’anestesista urlava:” La vogliamo togliere questa ossitocina!”. Ricordo vagamente due occhi con la mascherina ed una voce che mi diceva: “Bene conti da 100 in giu..”. Ed io: “100, 99, 98,97……” Ricordo la sensazione di cadere nel nero profondo con la paura nel cuore.
Mi risvegliai nella sala post operatoria. In fondo alla stanza Ornella l’ostetrica compilava dei fogli. Io la chiamai e lei voltandosi esclamò “Ah Sonia sei sveglia.” Le domandai:” Ornella, Francesco come sta?” e lei mi rispose:” Francesco sta bene, è andato tutto bene”. Io ripiombai nel mio sonno profondo, complice l’anestesia ancora da smaltire. Sei nato alle 18.05 del 18 Aprile del 2000.
Alle 6 del mattino venni svegliata dalle infermiere che portavano il carrello degli arrosti. Lo chiamavamo cosi perché tutti i bambini erano messi in fila e fasciati tanto da sembrare dei piccoli arrosti. Io ero ancora intontita dai tre giorni di fatica e senza mangiare. Un’infermiera ti posò tra le mie braccia. Tu non piangevi. E fu in quel momento che ti vidi per la prima volta. Amore mio.
Alba
Ecco questo è uno dei momenti che preferisco
La luce del giorno che incomincia
Nessun rumore in casa, solo il piccolo ticchettio dell’ orologio in cucina
Nessun rumore fuori, solo il cinguettio di qualche uccellino sugli alberi
Tutto fermo
Sola tra il buio e la luce
È come un limbo
Mi crogiolo tra le lenzuola e le coperte ammirando quel colore azzurro verde che colora la finestra, l’alba.