Quell’anno dalla calza della Befana era sbucato lo Sponsor Ufficiale per le squadre di calcio dei ragazzini del nostro Oratorio: a loro venne fatto dono del corredo sportivo completo. Alcune giacche a vento eccedenti le richieste furono consegnate alla Caritas locale, di cui da molti anni facevo parte, a dimostrazione che la Provvidenza non dimentica mai di manifestare tangibili e inconfutabili segni della sua presenza.
Per la mattina del giorno seguente, una domenica, avevamo concertato di allestire sul sagrato della Chiesa un banchetto per la vendita di nostri biscotti, torte e strudel, il cui ricavato avrebbe consentito di far fronte alle gravi emergenze dei nostri assistiti.
Fu in quella occasione che conobbi una signora dai capelli color rame, esile e piccola di statura, i cui limpidi occhi azzurri odoravano del vento dell’Est e incutevano più rispetto che simpatia. Di lei mi colpì immediatamente la disinvoltura con la quale indossava una giacca a vento blu, quella con stemma dello Sponsor di calcio.
Si chiamava Helena e chiedeva di entrare a far parte del gruppo, pur essendo una nuova assistita. Dimostrava vent’anni anni: ne aveva festeggiati trentacinque il giorno prima. Si espresse in un italiano perfetto e prodigandosi al nostro fianco – nonostante soffrisse di alcune lesioni fisiche – dimostrò di essere una vera forza della natura. I suoi sottili polsi massacrati da cicatrici spaventose ci impressionarono. Evitammo domande.
Senza alcuna esitazione, con notevole distacco emotivo, Helena raccontò di essersi “strappata” i tendini di entrambi i polsi per poter sfuggire alla cattura da parte della polizia. Era rimasta aggrappata e appesa a lungo – sostenendosi solo con le mani – all’esterno della ringhiera di un balcone di un palazzo ministeriale. Al cedimento delle fibre caduta rovinosamente a terra aveva riportando fratture anche alle gambe. Evitò l’arresto ma trascorse due stagioni in Ospedale. Con una scrollatina delle spalle tenne a precisarci che il fatto era “acqua passata”, risaliva ai tempi in cui era stata la segretaria di un illustre Ministro della capitale della Nazione da cui proveniva. E non aggiunse altro.
Le diventammo amiche e, sapendola in difficoltà economiche – svolgeva in nero piccoli, malpagati, lavori di pulizia nelle case di privati -, a turno le offrivamo un sostegno di qualunque tipo: farle la spesa, ospitarla a dormire, pranzare con noi, accompagnarla ad un colloquio di lavoro, o, come accadeva spesso mi chiedesse, consentirle di trascorrere un’ora raggomitolata all’angolo del divano per sfogare lacrime.
A me si raccontava con fiducia; così seppi dei suoi trascorsi nel Sud d’Italia, ove era approdata dopo un viaggio disperato a bordo di un barcone; della mancanza di denaro che la obbligava a elemosinare cibo; degli agguati e dei guai attraversati e della sua decisione di “sopravvivere” a qualunque costo esercitando il ”mestiere più antico del mondo”.
Questa pratica durò pochissimo tempo: un sacerdote del posto l’aiutò a trovare un tetto sotto cui ripararsi e un lavoro dignitoso da operaia. L’attività dell’azienda purtroppo terminò sette anni dopo: anni durante i quali Helena conobbe Piter e si innamorò. Alcuni compaesani dell’uomo offrirono a lui un lavoro da manovale “su al Nord”; così la coppia fiduciosa decise di intraprendere il viaggio della speranza che avrebbe cementato l’unione.
Un anno dopo il nostro primo incontro, Helena mi mise a parte di un altro di quelli che avevo battezzato i suoi “misteri misteriosi”: all’età di vent’anni aveva chiesto ed ottenuto il divorzio da un coniuge violento e scansafatiche a cui però aveva dovuto affidare la figlia prima di emigrare. In Basilicata aveva lavorato indefessamente, risparmiando sulle proprie spese, provvedendo a cedere gran parte della paga all’ex marito – che continuava a oziare – e alla figlia che – da lui spalleggiata – cresceva sempre più esigente e capricciosa.
Ancor prima di giungere al Nord, Helena stanca di sentirsi costantemente sfruttata tagliò i ponti, interruppe il flusso di denaro verso l’Est, sigillò la porta del cuore e sostituì il numero di cellulare. Mi disse pacatamente: “Non mi sono mai pentita della decisione, per me era arrivato il momento di salvare me stessa. Da anni non ho più notizie.”
Il mio cuore di mamma si torceva per l’incredulità. Accortasi che faticavo a respirare d’impulso mi abbracciò, – non era persona avvezza a gesti o parole affettuose – e il gesto mi colse di sorpresa. Un attimo dopo però mi strapazzò, quasi sbeffeggiandomi, per essere “una mamma troppo buona”. Poi, inaspettatamente, in preda ai singhiozzi chiese il permesso di rifugiarsi nel “suo” solito angolo del divano e di lasciarla sola.
Volevo molto bene ad Helena, la consideravo metà sorella metà figlia: lei ricambiava il mio affetto a modo suo: o applaudendomi dopo aver pranzato, sempre frettolosamente!, o insistendo per lasciarle fare le pulizie dell’appartamento. Se l’asticella del buonumore saliva, non senza sforzo, riusciva anche a rilassarsi e trascorrere un’ora in pace.
E’ dal giorno della festa della donna del 2018 che di Helena e Piter ho perso completamente le tracce: come fossero svaporati. A novembre 2019, un’amica “caritatevole” mi contattò informandomi che “girava voce” la coppia vivesse all’estero.
L’anno vecchio se ne è andato. E’ in arrivo l’Epifania, il cui significato “apparire” conosco da quando studiavo il catechismo; il compleanno di Helena cadrà lo stesso giorno. Sebbene io sia reduce da una notte alcolica con sbornia di allegria, da ore – su insistenza della mia anima (o della pancia?) -, me ne sto incollata a questa tastiera del computer per mantenere in vita, attraverso la scrittura, il ricordo di una persona cara di cui oggi sento particolarmente la mancanza. Tengo accesa la lampada della speranza. Chissà se
Ho interrotto la frase nel momento in cui, alle 14,27!, lo schermo del cellulare accanto a me si è illuminato nella casella blu dei “messaggi”; sì proprio quella che da quando esiste WhatsApp nessuno utilizza più. Neanche avessi visto un fantasma! Ho cacciato un urlo per l’effetto sorpresa alzandomi di botto dalla sedia, la mano posata sul petto per frenare un batticuore esagerato. In modo concitato, ad alta voce ho ripetuto incessantemente: ”Mio Dio non è possibile. Non posso non posso crederci.” Mentre tentavo di ricompormi gocce cadute dagli occhi si sfaldavano sullo schermo acceso del telefonino.
Sto tuttora scuotendo il capo ripetendomi che se io per prima stento ancora a crederlo, a nessuno risulterà facile concepire che sia realmente accaduto che, a distanza di quasi due anni di assordante silenzio, proprio oggi mentre mi facevo compagnia con i ricordi, pensando ad Helena e Piter, ho ricevuto un messaggio che recita così:
“Aggiungimi su SNAPCHAT Nome Utente Helena_ D….. 51.., HTTPDS://etc.”
Appena avrò un supporto umano accanto a me che potrà istruirmi, – sono pur sempre una nonna giurassica! -, sarà mia cura e mia gioia “aggiungere” per raggiungere.
1° Gennaio 2020