Tutti gli articoli di Oldgamine

Fuori da

Fuori da questa oscura notte

pieni di lividi per troppe botte

uciremo pallidissimi nel viso

sulle labbra un grande sorriso

 

Fuori da questa notte oscura

dopo il tormento e la paura

nonostante lunghissimi capelli

ci riconosceremo tutti fratelli

 

Fuori da questa notte oscura

di ognuno di noi avremo cura

guariremo le ferite sanguinanti

saremo felici davvero in tanti

 

Fuori da questa oscura notte

con chili di troppo e ossa rotte

sapremo leggerci nel cuore

riscoprendo la magia dell’Amore

“Corona Virù”

Anche oggi davanti alla Farmacia

ho pianto con donne della mia età

In una ricerca diventata già tabù

per la presenza del “Corona Virù”

odiamo la realtà che è quasi pazzia

e non ci porta a vedere un nipote

o a ricevere un abbraccio per la via

 

E queste lunghe notti in bianco

da sirene di ambulanze musicate

da guanti e mascherine terminate

da tuttologi e grandi bufale inondate

da mille notiziari visti alla Tivù

ridotti in questa silenziosa schiavitù

ci consoliano con un altro tiramisù

 

Dio è stanco. Ancora non morto

Da troppo tempo Lui si è accorto

dei nostri inutilili miti falsi idoli

della politica fatta di immoralità

di animali bruciati in quantità

di treni deragliati aerei caduti

bambini abbandonati cuori perduti

 

Troppo Male. In questa inciviltà

mancava la serenità, la serietà

avanzava corruzione e meschinità

In un vortice di stordente velocità

nessun rispetto. A zero la dignità

Inorridito, incredulo, Lui da lussù

ci donava comunque un cielo blu

 

Agli arresti di obbligata vacanza

pronti ad alimentare la speranza

torniamo a scoprire ogni virtù

pur di esorcizzare il “Corona Virù”

Un giorno Dio ci apparirà risorto

In cambio per la Sua immortalità

esige da noi preghiere di fragilità.

 

Attesa

Dio del Cielo

Bellissima

e

lunga è la vita

Migliaia e migliaia

di attimi in fila

un lungo esercito

sconfinato

 

Demone del Virus

Velocissima

e

breve è la morte

Un palpito lieve

lo spazio di una

tua orrenda

decisione

Rosso Corallo

Oggi inauguro un nuovo elegante tailleur color corallo indossandolo per la prima volta; è bello davvero e mi cade perfettamente. Ho abbinato una camicetta bianca ed un paio di scarpe, dal tacco medio alto, colore blu cielo sulla cui punta è inserita una sottile striscia obliqua che richiama la tonalità dell’abito.   Una spilla color oro, identica a quelle “da balia” ma più lunga, chiude la gonna a portafoglio a metà coscia, è decorativa senza dubbio ma serve a tenere fermo il lembo di stoffa asimmetrica sovrapposta.

Look perfetto per una ghiotta occasione: un “pranzo premio” che oggi viene offerto dal Presidente della Società multiservizi,  per la quale mi prodigo da oltre dieci anni, ad alcuni responsabili dei vari Uffici, di cui faccio parte.    La nostra gradita presenza è prevista per le ore 13.00 in un raffinato ristorante di Via Senato; nostro compito sarà fungere da grazioso corollario ad un personaggio Vip – fratello di un personaggio pubblico extra Vip – che sta per arrivare in compagnia del suo fotografo personale, dicono.

Gli Uffici della nostra prestigiosa Azienda si trovano in Centro Città, ubicati all’interno di un grande palazzo d’epoca, distribuiti su tre piani ospitano un organico di duecento unità.  La felice posizione dell’edificio è molto invidiabile, ideale per me al punto che lo stress da pendolarismo, la stanchezza quotidiana e il peso delle responsabilità vengono alleggeriti dal fascino irresistibile che esercita questo inimitabile cuore pulsante della Metropoli.

Le ore tredici sono trascorse da diversi minuti ed io sto consumando una dose di nicotina, accompagnata dal quinto caffè della mattina, quando vengo convocata in Direzione: qui la “mega segretaria”, con eccessiva serietà e studiata compostezza, comunica ai premiati che il pranzo deve essere posticipato ad altra data: l’ospite atteso si è scusato ma  urgentissimi  impegni lo reclamano altrove.   Senza commentare sorridiamo facendo “buon viso a cattivo gioco”. Alcuni di noi optano per un salto al Burger King, altri alla tavola calda; decido di tornare nel mio ufficio dove ad attendermi trovo un nuovo carico di fascicoli di pratiche da svolgere. Il mio senso del dovere ha la priorità, il lavoro verrà scrupolosamente terminato entro oggi con la collaborazione della collega Mimma, dirimpettaia di scrivania, rientrata or ora dal suo solito pranzo fugace.

Lei, ottima segretaria, giovane signora che da sempre mi lavora accanto e di cui sono particolarmente buona amica, trovandosi in sovrappeso tenta di seguire una sempre più moderna “dieta dimagrante”, io, non più giovane, magrissima in taglia 38, rinuncio a  seguire quella “ingrassante” insensibile all’idea di eliminare il disdicevole cocktail a base di caffeina e nicotina che compone il mio limitato menù.   Trascorro ulteriori tre ore immersa nelle carte e impegnata al telefono prima che il mio organismo dia voce ad una legittima  protesta:  Mimma si offre di scendere al “bar di sotto” per prendermi del cibo ed un caffè.

Scostata la sedia dalla scrivania, divaricate per benino le gambe, reggendo con la punta delle dita di entrambe le mani un untuoso tramezzino che sgocciola, spingo il busto in avanti chinandomi leggermente.   Lo strato del panno della gonna soprapposto si apre creando un bizzarro, poco signorile, “effetto scopertura”.

Nell’attimo esatto in cui addento il primissimo boccone, qualcuno spalanca di botto la porta  alla mia sinistra, facendoci sussultare.    Vediamo spuntare una testa maschile che sporgendosi in avanti getta sguardi indagatori di qua e di là.   Poi segue un corpo che entrando si protende  direttamente verso il mio …tramezzino.   Sollevato a malapena lo sguardo, il volto ormai color del corallo, riconosco immediatamente l’uomo che è entrato, mi ha guardata ed ha sorriso divertito scuotendo il capo.   “Buon appetito!, signora…?”

“Elvira” risponde prontamente Mimma sorridendogli bonariamente, ammiccando nella mia direzione e sforzandosi di non far scoppiare la sua, rumorosa, irresistibile risata.

“Tranquilla, la prego. Continui pure tranquilla. Scusate il disturbo, vado cercando il Dr. F.”

L’improvvisato ospite scoppia a ridere e prima di allontanarsi mi gratifica con una divertita strizzatina d’occhio; dalla soglia ci saluta con la mano, si scusa nuovamente e coglie l’occasione per tornare ad osservarmi, ma non in volto.

Fulminandola con uno sguardo abrasivo, posando il dito indice in verticale sulle mie labbra chiuse, proibisco a Mimma di proferire parola; poi, con desolazione, osservo le macchie di unto che hanno battezzato il mio nuovissimo tailleur rosso corallo che, – sono pronta a scommetterlo – , a lungo conserverà l’incantevole ricordo dell’incontro con un Vip.

 

Precisazioni dovute: Correva l’anno 1993; il ristorante da Alfio ha chiuso definivamente nel 1997; gli Uffici della “mia” Società nell’anno 2002 si sono trasferiti lontano dal Centro Città.

 

10 febbraio 2020

HELENA – Vento dell’Est

Quell’anno dalla calza della Befana era sbucato lo Sponsor Ufficiale per le squadre di calcio dei ragazzini del nostro Oratorio: a loro venne fatto dono del corredo sportivo completo.  Alcune giacche a vento eccedenti le richieste furono consegnate alla Caritas locale, di cui da molti anni facevo parte, a dimostrazione che la Provvidenza non dimentica mai di manifestare tangibili e  inconfutabili segni della sua presenza.

Per la mattina del giorno seguente, una domenica, avevamo concertato di allestire sul sagrato della Chiesa un banchetto per la vendita di nostri  biscotti, torte e strudel, il cui ricavato avrebbe consentito di far fronte alle gravi emergenze dei nostri assistiti.

Fu in quella occasione che conobbi una signora dai capelli color rame, esile e piccola di statura, i cui limpidi occhi azzurri odoravano del vento dell’Est e incutevano più rispetto che simpatia.   Di lei mi colpì immediatamente la disinvoltura con la quale indossava  una giacca a vento blu, quella con stemma dello Sponsor di calcio.

Si chiamava Helena e chiedeva di entrare a far parte del gruppo, pur essendo una nuova assistita. Dimostrava vent’anni anni: ne aveva festeggiati trentacinque il giorno prima. Si espresse in un italiano perfetto e prodigandosi al nostro fianco – nonostante soffrisse di alcune lesioni fisiche – dimostrò di essere una  vera forza della natura.  I suoi sottili polsi massacrati da  cicatrici spaventose ci impressionarono. Evitammo domande.

Senza alcuna esitazione, con notevole distacco emotivo, Helena raccontò di essersi “strappata” i tendini di entrambi i polsi per poter sfuggire alla cattura da parte della polizia.   Era rimasta aggrappata e appesa a lungo – sostenendosi solo con le mani – all’esterno della ringhiera di un balcone di un palazzo ministeriale. Al cedimento delle fibre caduta  rovinosamente a terra aveva riportando fratture anche alle gambe.   Evitò l’arresto ma trascorse due stagioni in Ospedale.   Con una scrollatina delle spalle tenne a precisarci che il fatto era “acqua passata”, risaliva ai tempi in cui era stata la segretaria di un illustre Ministro della capitale della Nazione da cui proveniva.  E non aggiunse altro.

Le diventammo amiche e, sapendola in difficoltà economiche – svolgeva in nero piccoli,  malpagati, lavori di pulizia nelle case di privati -, a turno le offrivamo un sostegno di qualunque tipo: farle la spesa, ospitarla a dormire, pranzare con noi, accompagnarla ad un colloquio di lavoro, o, come accadeva spesso mi chiedesse, consentirle di trascorrere un’ora raggomitolata all’angolo del divano per sfogare lacrime.

A me si raccontava con fiducia; così seppi dei suoi trascorsi nel Sud d’Italia, ove era approdata dopo un viaggio disperato a bordo di un barcone; della mancanza di denaro che la obbligava a elemosinare cibo; degli agguati e dei guai attraversati e della sua decisione di “sopravvivere” a qualunque costo esercitando il ”mestiere più antico del mondo”.

Questa pratica durò pochissimo tempo: un sacerdote del posto l’aiutò a trovare un tetto sotto cui ripararsi e un lavoro dignitoso da operaia.   L’attività dell’azienda purtroppo terminò sette anni dopo: anni durante i quali Helena conobbe Piter e si innamorò.   Alcuni compaesani dell’uomo offrirono a lui un lavoro da manovale “su al Nord”; così la coppia fiduciosa decise di intraprendere il viaggio della speranza che avrebbe cementato l’unione.

Un anno dopo il nostro primo incontro, Helena mi mise a parte di un altro di quelli che avevo battezzato i suoi “misteri misteriosi”: all’età di vent’anni aveva chiesto ed ottenuto il divorzio da un coniuge violento e scansafatiche a cui però aveva dovuto affidare la figlia prima di emigrare. In Basilicata aveva lavorato indefessamente, risparmiando sulle proprie spese, provvedendo a cedere gran parte della paga all’ex marito – che continuava a oziare –  e alla figlia che – da lui spalleggiata – cresceva sempre più esigente e capricciosa.

Ancor prima di giungere al Nord, Helena stanca di sentirsi costantemente sfruttata tagliò i ponti, interruppe il flusso di denaro verso l’Est, sigillò la porta del cuore e sostituì il numero di cellulare.   Mi disse pacatamente: “Non mi sono mai pentita della decisione, per me era arrivato il momento di salvare me stessa.   Da anni non ho più notizie.”

Il mio cuore di mamma si torceva per l’incredulità.   Accortasi che faticavo a respirare d’impulso mi abbracciò, – non era persona avvezza a gesti o parole affettuose – e il gesto mi colse di sorpresa.  Un attimo dopo però mi strapazzò, quasi sbeffeggiandomi, per essere “una mamma troppo buona”.   Poi, inaspettatamente, in preda ai singhiozzi chiese il permesso di rifugiarsi nel “suo” solito angolo del divano e di lasciarla sola.

Volevo molto bene ad Helena, la consideravo metà sorella metà figlia: lei ricambiava il mio affetto a modo suo: o applaudendomi dopo aver pranzato, sempre frettolosamente!, o insistendo per lasciarle fare le pulizie dell’appartamento.   Se l’asticella del buonumore saliva, non senza sforzo, riusciva anche a rilassarsi e trascorrere un’ora in pace.

E’ dal giorno della festa della donna del 2018 che di Helena e Piter ho perso completamente le tracce: come fossero svaporati.  A novembre 2019, un’amica “caritatevole” mi contattò informandomi che “girava voce” la coppia vivesse all’estero.

L’anno vecchio se ne è andato.   E’ in arrivo l’Epifania, il cui significato “apparire” conosco da quando studiavo il catechismo; il compleanno di Helena cadrà lo stesso giorno.   Sebbene io sia reduce da una notte alcolica con sbornia di allegria, da ore – su insistenza  della mia anima (o della pancia?) -, me ne sto incollata a questa tastiera del computer per mantenere in vita, attraverso la scrittura, il ricordo di una persona cara di cui oggi sento particolarmente la mancanza.   Tengo accesa la lampada della speranza.   Chissà se

 

Ho interrotto la frase nel momento in cui, alle 14,27!, lo schermo del cellulare accanto a me si è illuminato nella casella blu dei “messaggi”; sì proprio quella che da quando esiste WhatsApp nessuno utilizza più.    Neanche avessi visto un fantasma!   Ho cacciato un urlo per l’effetto sorpresa alzandomi di botto dalla sedia, la mano posata sul petto per frenare un batticuore esagerato.   In modo concitato, ad alta voce ho ripetuto incessantemente: ”Mio Dio non è possibile. Non posso non posso crederci.”   Mentre tentavo di ricompormi  gocce cadute dagli occhi si sfaldavano sullo schermo acceso del telefonino.

Sto tuttora scuotendo il capo ripetendomi che se io per prima stento ancora a crederlo, a nessuno risulterà facile concepire che sia realmente accaduto che, a distanza di  quasi due anni di assordante silenzio, proprio oggi mentre mi facevo compagnia con i ricordi, pensando ad Helena e Piter, ho ricevuto un messaggio che recita così:

“Aggiungimi su SNAPCHAT Nome Utente Helena_ D….. 51.., HTTPDS://etc.”

Appena avrò un supporto umano accanto a me che potrà istruirmi, – sono pur sempre una nonna giurassica! -, sarà mia cura e mia gioia “aggiungere” per raggiungere.

 

1° Gennaio 2020

 

Una carezza sul cuore

La poesia di Pablo Neruda si offre cibo per essere condivisa: è sincera, diretta come chi non ha nulla da perdere e si scioglie bene come lo zucchero nel latte caldo.

Dinamica e potente, possiede la capacità di sedurre ed intrappolare nella fragile rete di sensibilità ed amore con il suono della musica di parole fresche e nel contempo evocative.

Come ogni poeta, l’Autore scrive quel che ognuno di noi sente dentro di sé: il suo sentire è il punto di incontro dove tutti ci assomigliamo.   Sa moltiplicare per mille l’emozione per farci valutare con tutti i sensi la gioia dell’esistenza; in tal modo vede ed incontra non soltanto i desideri ed i sentimenti personali ma anche quelli altrui.

HAI SBAGLIATO

“Nonna non lo sai che quando Gesù è nato a Betlemme faceva caldo? E se tu ci vuoi andare adesso puoi farti ancora una vacanza di sole, ce lo ha detto ieri la maestra” mi fa notare la nipotina mentre in piedi sulla sedia osserva attentamente, sopra ad un mobile alto laccato di bianco, l’allestimento del “mio” presepe, lungo quasi due metri completamente sovraffollato di personaggi e di animali.

“Amore, ho sempre saputo che il clima laggiù in Palestina è caldo e temperato” rispondo mentre sto ultimando la sciacquatura dei piatti.

“Allora hai sbagliato. Perché hai messo la statuina dell’arrotino che ha una lunga sciarpa di lana ed il cappello pesante in testa?”  Già, bella domanda, perché?  “Nonna io lo so, lo so io perché.”

“Forse a San Giuseppe poteva serviva un coltello affilato?” domando spiritosamente.

“Ma noooo, nonna non scherzare. Non ti ricordi più che ogni anno, da quando tu ti sei sposata, compri una nuova statuina a dicembre per festeggiare Gesù che nasce?”

Mi fingo oltremodo smemorata: “Brava, adesso lo ricordo: per quest’anno ho acquistato sia un personaggio che due pecorelle.”   “Non devi dirmi quali sono. Non mi spoilerare, ok? Li voglio indovinare io”.

“Spoilerare? Ho capito bene? Non conosco il significato di questa parola, forse volevi dire spolverare?”  asciugo le mani sul grembiule e mi avvicino.

“Nonna non è vero, tu sai troppe parole perché leggi mille libri e scrivi sul computer. Non è vero che non conosci la parola “spoilerare”” mi osserva con uno sguardo penetrante, incredulo. Arriva perfino a sfidarmi bonariamente posando le mani chiuse a pugnetto sui fianchi emettendo un lungo sospiro: é troppo simpatica. Scoppio in una risata fragorosa: “Tesoro, cado dalle nubi, credimi. Consulto il vocabolario, ok?”

“Ma nooo. Noooo. Nonna tu sei del secolo scorso! Devi imparare a usare internet mica il vocabolario! Anzi nooo adesso te lo spiego io: vuole dire che non me lo devi dire.”  “Sei sicura? E’ come dire che non si deve svelare un segreto?” “Forse sì. Però tu allontanati. Sciò sciò” e mi spinge via con la mano.

“Nonnaaaaa!!!” un urlo lacerante mi trapana gli organi dell’udito. Accorro immediatamente. “Che bello nonna, che bello! Hai messo ancora le galline e i maialini che aveva fatto il mio papà con il pongo a scuola quando aveva la mia età. Tu non devi buttarli via nonna. MAI, mai mai mai promettimelo”. Prende tra le mani gli animaletti alquanto scoloriti ed il suo sguardo si riempie di stupore e tenerezza.

“Te lo prometto, anzi, a te lascerò tutto il presepe, contenta?” La stringo forte tra le braccia; lei affonda il nasino nel mio collo e annusando rumorosamente sentenzia: ” Tu nonna hai cambiato profumo”.  

Si stacca dall’abbraccio, mi allontana ancora per andare alla ricerca delle nuove statuine. Scende dalla sedia la  posiziona al centro del mobile e nel risalire sorridendomi grida: “Sono sicura che le scovo da sola”.  

“Nonna vieni, guarda: ho trovato te nonna che porti un vestitino a Gesù e il nonno che fuma la pipa seduto sulla panchina” mi osserva perplessa poi domanda: “Io e mio fratello dove siamo?” “Siete le due nuove pecorelle davanti alla capanna. Posso dirti quali?” “Sì, grazie nonna”. “Tu sei questa che si sta riposando e tuo fratello è quella accanto a te che guarda verso il bue e l’asinello.”

“E il personaggio nuovo?” Stupita domando: ”Era un segreto oppure no?” “Nonna in questo presepe ci sono più di cinquantamila statuine tutte appiccicate e io non lo riesco a vedere.”

“Ok. E’ questo qui: il giovane caldarrostaio”. Me lo toglie dalla mano e commenta “Oh noooo, nonna hai sbagliato un’altra volta”. Scuote il capo sconcertata, scende dalla sedia e, impedendomi di intervenire, decide risolutamente che questo è il momento di farlo sparire all’interno dello scatolone dei “nostri” giochi.

COCCODRILLO ALBINO (Parafrasando l’Avvelenata, non me ne voglia di F. Guccini)

Ma se io avessi previsto tutto questo

gossip di una TV Barbara e tal contesto

credete che avrei scritto Questione lampo?

Meglio sarebbe stato patire un crampo

Io niente, io curiosa, io troppa nicotina

destissima alle tre di questa stamattina

incredula la vista stretta in una morsa

davanti all’immagine rubata della borsa

E’ targata Birkin della prestigiosa Hermes

la osservo sullo schermo luminoso ades

Ricavata dalla pelle di coccodrillo albino

da uno sconosciuto cacciatore assassino

Guardo bene è tempestata di diamanti

dai riflessi abbaglianti  e sfavillanti

Vale (vale?!?) COSTA! Circa Euro 30mila

E qui la lingua purtroppo mi si affila…

Togliti il sorriso soubrette americana

tutta “evve” battutine e battiti di ciglia

tu vivi un’esperienza anti-nirvana

io soffro una caldana da guerriglia

Chiedo scusa a vossia, colpa mia

Uno sfogo di rabbia, non poesia

Rimedio con un sicuro toccasana

Vi preparo una caldissima tisana

 

25.11.2019

Autunni “IN”

Ottobre 1969

 

Quell’autunno, con soavità

fece apparire regina la fragilità

per distrarmi commossa e beata

al girasole della tua risata

Fu un autunno INTRIGATO

 

Quell’autunno, raggio d’estate

tra foglie rosse sospese o cadute

ci incamminò  fianco a fianco

osservandoci con sguardo attento

Fu un autunno INNAMORATO

 

Ottobre 2019

 

Questo autunno, carezza di fata

piano ancora il ventre mi dilata

e le ali della mia anima stupita

arpiona saldamente alla tua vita

E’ un autunno INTERPRETATO

 

Questo autunno, giorni di serenità

altra stagione che non invecchierà

di forti tinte mi colora più vera

piccolo germoglio alla tua primavera

E’ un autunno “BELLISSIMOINtitolato

 

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