Tutti gli articoli di Antonella Rando

Acqua benedicta

L’acqua si rispettava. Il nonno la raccoglieva piovana dentro grandi botti collocate in cortile.
Con lei si veniva a patti sempre: le verdure lavate nell’orto e l’acqua ritornava alla terra.
Al mattino la faccia lavata con l’acqua pulita nella bacinella in ceramica bianca, poi si versava in giardino per i fiori. L’ acqua calda della pasta per lavare i piatti, mani e piedini risciacquati prima di rincasare con la canna sopra i cetrioli che hanno sempre sete.
Santa in un ampolla e conservata in un luogo segreto che solo la nonna sapeva: con quest’ acqua benediva segnando una piccola croce sulle fronti mentre pregava. Noi bambine capivamo così che accadeva qualcosa di straordinario e avevamo bisogno dell’aiuto divino. Ho lavorato per un periodo presso un rinomato magazzino tessile a Milano e mi sono scontrata con responsabile e colleghe perché facevano scorrere l’acqua durante tutta la giornata per averla fresca, chiudevo il rubinetto, ma loro mi prendevano in giro: ” Sei proprio una paesanella” dicevano. Io soffrivo nel vederla scorrere nel lavandino così invano, inerme.

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Chiarezza

Ce l’ ha fatta il fiume
quest’oggi in ardore d’0nda
a spazzar via
la crosta di fronde
e cose morte
che da giorni sostava
tra esili braccia di salice.
La punta di un piede nell’acque
allontana le ultime foglie
che mulinellano sparse
morde la corrente tanto ha fretta.
Squarcio improvviso
brividi di cielo versato in terra.
Si libera nell’aria
il profumo dei mughetti
ricamato sulle lenzuola
stese al sole.

 

 

Il ponte delle sirene

La stradina costeggiata da rogge si snoda in una serie di curve strette, fiancheggia la campagna coltivata e lentamente unisce Mediglia a San Giuliano.
Poco trafficata, è la strada che ho frequentato più di tutte perché da bambina si andava dalla nonna a bordo della Cinquecento azzurra guidata da mio padre, e da adulta per raggiungere il centro commerciale in cui ho lavorato dieci anni come ottica e vetrinista.
Circa a metà del suo percorso, la stradina sovrasta con un ponte il fiume che mi affascina da sempre. Specialmente in inverno quando i campi freddi biancheggiano per la neve o la brina, il Lambro sembra trascinare più cupo che mai il suo carico d’acqua e di segreti mentre, avvolto da una bruma opalescente, scorre imperturbabile verso il suo mare.
Occasionali gabbiani o cormorani ne sorvolano le onde, non ho mai visto pescatori lungo le sue rive solitarie. Da piccola, ogni volta che passavo sul ponte in auto, abbassavo il finestrino e guardavo giù per vedere meglio che potevo, ma niente traspariva dal fondo nero e denso.
Una volta, vidi una spessa coltre di schiuma bianca serpeggiare sul Lambro, rimasi incantata:  «Papà guarda che bello il fiume stamattina».
«A volte le Sirene arrivano anche qui per fare il bagno e lasciano la loro scia insaponata».
«E come si fa a vedere le Sirene papà, sai quando faranno il bagno la prossima volta?» gli chiesi.
Le Sirene si bagnano alle prime luci dell’alba per tingere le loro code nelle acque argentate», mi rispose sorridente.
Da allora, quando passo sul ponte delle Sirene, penso sia un luogo magico e, chissà… di incontrarne una prima o poi.

Poesia di strada

Salti giù da una Citroen verde
sbatti lo sportello quasi
fari, sibilo si gomme
sbuffo di smog sull’asfalto rovente
con te ha finito.

Sistemi la gonna sui fianchi
il piercing è sole sul ventre liscio,
sei una bambola dal cuore in ceppi.
Le sneakers bianche si fanno spazio
tra lattine, clinex, qualche straccio.
C’è una sedia rotta più in là
per farti regina sei un nuovo acquisto:
soldi contanti.

Siedi, incroci le gambe da gazzella
la bocca è un cuoricino.
Tra cipria e polvere
vorresti raschiare via da dosso gli sguardi
che ti frugano sotto la maglietta
dentro le mutandine.

Intanto passi una mano nel caschetto
castano dei tuoi capelli è imbarazzante tanto sei bella.
Mi lanci un’occhiata dall’altra parte della strada.
Distolgo gli occhi ti lascio sola
ho una figlia della tua età a casa io!

Un’auto rallenta
lui abbassa il finestrino
tu metti il broncio
fai come una bimba che dice NO!

Lui ti annusa hai odore di bestiola
È così che ti vuole
ancora tiepida e dischiusa.

Canzone per te

1992, diploma all’accademia di arte vetrinistica, preparativi per il mio matrimonio, tu che realizzi per me l’album di nozze più originale. La prima foto scattata dalla sarta, mi guardi spalancando gli occhioni nocciola, io leggo sulle tue labbra “ Meravigliosa” e ti abbraccio così, con gli spilli ancora puntati al vestito.
Piango, tu fai “Ahaia”, una goccia di sangue scivola sul pizzo macramè. Rido come una scema e si allenta il pizzo del corpetto.
1992 il Maxiprocesso di Palermo si conclude con pesanti condanne a carico di mafiosi: fa sperare in una società migliore. Firmi il tuo primo contratto da fotografa per una prestigiosa casa editrice, ti trasferisci a Mantova da Gianni: siete innamorati persi.
Nei fine settimana noi quattro insieme: Miri, Gianni, Sara, Luca e quella sera passeggiando sul lungomare a Rimini tu mi vieni vicina mi stringi forte la mano e mi dici in un filo di fiato: “Divento madre Sara”. Gianni sorride nel luccichio delle onde. Sarò io la madrina della piccola Aurora.
“ E dai, datti una mossa! Gli altri sono già tutti a bordo”. Resto immobile con le mani salde sul corrimano. Qui ho l’oceano ai miei piedi, il verde smeraldo dell’isola, negli occhi colori e forme spudorate di fiori strepitosi, ho le Blue Mountain da scoprire ammantate d’aroma di caffè e mistero. Poi ritmo, reggae allegria: il nostro primo viaggio di lavoro.
La sera si ballava sulla spiaggia, nei lenti avvinte come fossimo una cosa sola.
“ Baby don’t  worry about the thing cause every little thing gonna be all right singing don’t worry. Miri, la mia canzone per te” ti sussurravo.
“ No, non ritorno in un luogo dove tutto è Novembre, io resto qui in Jamaica”, rispondo. Allora tu scendi la scalette dell’aereo e vieni a prendermi.
Poi la mostra fotografica a Milano, io ne curo l’allestimento, un successo inaspettato con quelle foto di donne giamaicane che sorridono senza denti e lavorano per mantenere uomini buoni solo a far figlie ubriacarsi.
Siedo su una delle tante panche disposte sul sagrato, allaccio il maglioncino sino al collo scaldo ricordi stretti al cuore. Si apre qualche ombrello tra la marea di gente immersa nel salmodiare delle preghiere. Sento bussare alla spalla, non mi volto “Miri”… bussano di nuovo,
“Miri don’t worry”. Si strappa il filo sottile che ci unisce, è come una fitta alla tempia: mi volto.
Un ragazzo  dice qualcosa dall’alto, ma io non sento, versa parole nella pioggia che scende sottile dalla mestizia del cielo. “ Hai un grosso ragno sulla spalla” scandisce ad alta voce, poi mi da una pacca sulla schiena “ Ecco adesso è andato via “.
Lascialo qui! Se è venuto da me un motivo ci sarà vorrei urlare.
Nonna Emma era ricamatrice, mi diceva sempre che i ragni vanno rispettati perché portano fortuna, forse aveva a cuore Aracne, fanciulla greca abilissima nel tessere che ebbe l’audacia di sfidare la  Dea Atena al telaio. Il lavoro di Aracne si rivelò perfetto al punto che la Dea distrusse la tela della fanciulla e trasformò Aracne in ragno.
Sai Miriana, Emma ammirava la maestria con la quale catturavi emozioni perfettamente sigillate in un lampo di ricordo e la forza d’animo dimostrata nel farti spazio in un mondo del lavoro che di donne non ne voleva.
Nonna ricamò un asciugamano fitto fitto di margherite per te, tu grata avevi massaggiato a lungo le sue mani deformi per l’usura, ma ancora in grado di domare ago e filo, le avevi messe in posa: nel tuo scatto sembravano ragnetti che si arrampicavano sulla tela invisibile.
Guardo il tremito verde scuro tra le foglie dei pioppi che circondano la piazza e mi perdo in un vortice di ricordi.
“ Ti rendi conto del pericolo? No io in quel luogo di donne sepolte vive sotto chili di stracci non ti seguirò! Porti un arma micidiale sul petto: la tua macchina fotografica. Non partire!”
Ma tu presa dall’entusiasmo accettasti l’incarico di reporter in collaborazione con un importante quotidiano.
“ La mia scelta da ora in poi sarà di dare identità  a quelle donne che sono rese invisibili, costrette a vivere in una società che le disprezza. No Sara non ti porterò con me nemmeno se tu lo volessi”.
Saresti rientrata il giorno dopo, provata dalle situazioni affrontate durante il servizio, ma orgogliosa per i risultati ottenuti. Il tuo corpo fu rinvenuto la sera stessa nelle vicinanze dell’aeroporto. Bastò una sola pallottola.
Miriana quale segreto hai carpito agli Dei per aver reciso così presto il filo della tua vita?
Un filo d’incenso si unisce al profumo del glicine arrampicato sul muretto, come mani si muovono tra la folla carezzando guance.
Nel silenzio mi alzo in piedi, la cerimonia volge al termine, dovrei dire qualcosa, salutarti  ma non so, non dico niente, non posso, ritorno al mio posto accanto ad Aurora.
Non posso lasciarti andare Miri io tengo il filo tu sei la mia trama.
Ti tengo.

Malika

“Malika è ancora incinta, la vedo rotondetta.”
“Si, lui è un pezzo che non si vede lei dice che è all’estero per lavoro, ma ho sentito che è in galera: è un tipo molto equivoco, un bel uomo però, sono loro dirimpettaia e non li ho mai sentiti bisticciare.”
Scendere e risalire al quinto piano senza ascensore con un bimbo in braccio e uno in pancia è una faticaccia, come fa? Del resto gli appartamenti ai piani alti se non li prendono gli extracomunitari restano sfitti. Ti ha chiesto soldi?”
“Si, ma soldi da prestare non ne ho, le preparo sempre un piatto in più per pranzo e cena e mando su Matteo a portarlo”.
“Cosa ci fate qui sul pianerottolo a spettegolare voi due, state parlando della zingara? Attente, quelle sono zecche vi si appiccicano con la scusa dei figli e non mollano! Ignoratela e si toglierà di torno, vi saluto ho ben altro da fare io”.
“Sei proprio brava tu! E’ al corrente di questa situazione la proprietaria?”
“Certo, è Lucia che paga le bollette, pensi che Malika abbia i soldi per l’affitto?
Le ho passato pacchi di pannolini ora che Giada fa pipì nel vasino, mi preoccupa saperla in queste condizioni, rischia che le portino via i bambini, penso sia minorenne. Che profumo, qualcuno ha appena sfornato una crostata accidenti che fame”.
“Hai visto tutti quei panni stesi ad asciugare sul suo balconcino? Le ho suonato l’altra sera non hai idea le zaffate che arrivano dal suo appartamento ho sbirciato quando ha aperto, c’era una montagna di indumenti sul pavimento, Malika non devi occuparti del bucato di un intero campo nomadi, i condomini si stanno lamentando non è igienico nelle tue condizioni. Le ho detto.”
“E’ venuta da me ieri, ha chiesto del caffè, ne era sprovvista, aveva le lacrime agli occhi l’ho fatta entrare. E’ preoccupata perché la nonna è malata e non può accudirla non vive in Italia, teme di non vederla più. Nonna non voleva che partisse, perché era troppo giovane e aveva ancora bisogno della sua famiglia accanto, ma il padre decise che era arrivato il momento e Josef se la portò via. E’ sicura che lui ritornerà prima che nasca il bambino per sistemare le cose.
Poi ha spalancato gli occhioni neri, mi ha preso le mani nelle sue e mi ha raccomandato di non dire niente in giro. Sembrava una bambina con quei capelli sciolti neri, lunghi e lucenti. Allora le ho preparato una tisana, si è rilassata”.
“Certo che sradicarla così, fa tenerezza”.
“Viene spesso la suocera a darle una mano, l’ho vista scendere alla fermata dell’autobus carica di borse della spesa e camminare lentamente tra gli svolazzi delle pieghe, le sue gonne da gitana tutte fiorite mi mettono allegria, hai visto come porta la treccia di lato bianca cangiante sull’incarnato scuro”.
“Si, ho notato, sorride e saluta sempre quando la incontro sulle scale, penso voglia bene a Malika e al nipotino.”
“Ancora qui voi due, ma siete proprio delle belle portinaie, nel frattempo ho cucinato anche per questa sera, in qualsiasi caso fatemi sapere se serviranno completini per il bimbo, ho conservato tutto anche i fiocchi nascita, azzurro o rosa lo appenderemo al porta.
In fondo siamo tutte un po’ zie, no?”