1992, diploma all’accademia di arte vetrinistica, preparativi per il mio matrimonio, tu che realizzi per me l’album di nozze più originale. La prima foto scattata dalla sarta, mi guardi spalancando gli occhioni nocciola, io leggo sulle tue labbra “ Meravigliosa” e ti abbraccio così, con gli spilli ancora puntati al vestito.
Piango, tu fai “Ahaia”, una goccia di sangue scivola sul pizzo macramè. Rido come una scema e si allenta il pizzo del corpetto.
1992 il Maxiprocesso di Palermo si conclude con pesanti condanne a carico di mafiosi: fa sperare in una società migliore. Firmi il tuo primo contratto da fotografa per una prestigiosa casa editrice, ti trasferisci a Mantova da Gianni: siete innamorati persi.
Nei fine settimana noi quattro insieme: Miri, Gianni, Sara, Luca e quella sera passeggiando sul lungomare a Rimini tu mi vieni vicina mi stringi forte la mano e mi dici in un filo di fiato: “Divento madre Sara”. Gianni sorride nel luccichio delle onde. Sarò io la madrina della piccola Aurora.
“ E dai, datti una mossa! Gli altri sono già tutti a bordo”. Resto immobile con le mani salde sul corrimano. Qui ho l’oceano ai miei piedi, il verde smeraldo dell’isola, negli occhi colori e forme spudorate di fiori strepitosi, ho le Blue Mountain da scoprire ammantate d’aroma di caffè e mistero. Poi ritmo, reggae allegria: il nostro primo viaggio di lavoro.
La sera si ballava sulla spiaggia, nei lenti avvinte come fossimo una cosa sola.
“ Baby don’t worry about the thing cause every little thing gonna be all right singing don’t worry. Miri, la mia canzone per te” ti sussurravo.
“ No, non ritorno in un luogo dove tutto è Novembre, io resto qui in Jamaica”, rispondo. Allora tu scendi la scalette dell’aereo e vieni a prendermi.
Poi la mostra fotografica a Milano, io ne curo l’allestimento, un successo inaspettato con quelle foto di donne giamaicane che sorridono senza denti e lavorano per mantenere uomini buoni solo a far figlie ubriacarsi.
Siedo su una delle tante panche disposte sul sagrato, allaccio il maglioncino sino al collo scaldo ricordi stretti al cuore. Si apre qualche ombrello tra la marea di gente immersa nel salmodiare delle preghiere. Sento bussare alla spalla, non mi volto “Miri”… bussano di nuovo,
“Miri don’t worry”. Si strappa il filo sottile che ci unisce, è come una fitta alla tempia: mi volto.
Un ragazzo dice qualcosa dall’alto, ma io non sento, versa parole nella pioggia che scende sottile dalla mestizia del cielo. “ Hai un grosso ragno sulla spalla” scandisce ad alta voce, poi mi da una pacca sulla schiena “ Ecco adesso è andato via “.
Lascialo qui! Se è venuto da me un motivo ci sarà vorrei urlare.
Nonna Emma era ricamatrice, mi diceva sempre che i ragni vanno rispettati perché portano fortuna, forse aveva a cuore Aracne, fanciulla greca abilissima nel tessere che ebbe l’audacia di sfidare la Dea Atena al telaio. Il lavoro di Aracne si rivelò perfetto al punto che la Dea distrusse la tela della fanciulla e trasformò Aracne in ragno.
Sai Miriana, Emma ammirava la maestria con la quale catturavi emozioni perfettamente sigillate in un lampo di ricordo e la forza d’animo dimostrata nel farti spazio in un mondo del lavoro che di donne non ne voleva.
Nonna ricamò un asciugamano fitto fitto di margherite per te, tu grata avevi massaggiato a lungo le sue mani deformi per l’usura, ma ancora in grado di domare ago e filo, le avevi messe in posa: nel tuo scatto sembravano ragnetti che si arrampicavano sulla tela invisibile.
Guardo il tremito verde scuro tra le foglie dei pioppi che circondano la piazza e mi perdo in un vortice di ricordi.
“ Ti rendi conto del pericolo? No io in quel luogo di donne sepolte vive sotto chili di stracci non ti seguirò! Porti un arma micidiale sul petto: la tua macchina fotografica. Non partire!”
Ma tu presa dall’entusiasmo accettasti l’incarico di reporter in collaborazione con un importante quotidiano.
“ La mia scelta da ora in poi sarà di dare identità a quelle donne che sono rese invisibili, costrette a vivere in una società che le disprezza. No Sara non ti porterò con me nemmeno se tu lo volessi”.
Saresti rientrata il giorno dopo, provata dalle situazioni affrontate durante il servizio, ma orgogliosa per i risultati ottenuti. Il tuo corpo fu rinvenuto la sera stessa nelle vicinanze dell’aeroporto. Bastò una sola pallottola.
Miriana quale segreto hai carpito agli Dei per aver reciso così presto il filo della tua vita?
Un filo d’incenso si unisce al profumo del glicine arrampicato sul muretto, come mani si muovono tra la folla carezzando guance.
Nel silenzio mi alzo in piedi, la cerimonia volge al termine, dovrei dire qualcosa, salutarti ma non so, non dico niente, non posso, ritorno al mio posto accanto ad Aurora.
Non posso lasciarti andare Miri io tengo il filo tu sei la mia trama.
Ti tengo.