Archivia 16 Ottobre 2024

FUOCO

C’è una luce
Nascosta sotto la mia pelle

Si accende ad ogni tuo tocco
Ad ogni tuo sospiro

Brucia
Come il fuoco

Arde prendendosi la mia testa
Il mio cuore

Si spegne
Quando te ne vai

E io maledico
Il mio cuore
La mia testa

Sei una droga
La peggiore

Voglio che smetta
Urlo il mio odio
La mia dipendenza

Poi arrivi
Il fuoco ricomincia a bruciare

Mi arrendo
Ancora una volta
E un’altra ancora

Niente mi sazia
Niente ti sazia

C’è un tempo per ogni cosa

C’è un tempo per ogni cosa. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Sento lo scorrere del tempo con il suo dolce malinconico ticchettio, c’è un tempo per fuggire ma non ho ancora trovato il tempo per resistere alla furia del vento.
Eppure qui a Riccione, la mia casa, le mie radici, il tempo pare essersi fermato.
C’è un tempo per tutto, è vero, anche se a volte sembra che il vento porti via ogni cosa, trascinando con sé i sogni che non abbiamo avuto il coraggio di stringere.
Qui a Riccione, però, sotto il cielo che cambia colore con la calma del mare, il tempo ha un ritmo diverso. Non è il ticchettio incessante di una città frenetica, ma piuttosto il respiro lento e profondo della costa, che conosce i segreti della pazienza.
Le onde si susseguono, una dopo l’altra, come gli anni che passano senza fretta, e l’odore di salsedine riempie l’aria, avvolgendo i pensieri come una coperta leggera. Qui, il vento non è furia, ma carezza. Ha imparato a danzare con i pini e con i tetti delle vecchie case, sussurrando storie di chi è passato, di chi ha amato e di chi ha perduto.
Eppure, anche in questa quiete sospesa, c’è sempre quel momento in cui la vita ci chiama a fare una scelta. A resistere o a fuggire. A lasciarci andare come la sabbia tra le dita o a stringere forte, come un anello prezioso che non vogliamo perdere.
Forse non è ancora giunto il tempo per resistere, ma il vento, proprio quel vento che ora mi sembra così forte, porta con sé una promessa: che un giorno saprò come restare, come mettere radici profonde, come trovare forza nel lasciare che il tempo faccia il suo corso.
Perché anche quando tutto sembra in movimento, inarrestabile, c’è un luogo in ognuno di noi dove il tempo si ferma, dove possiamo essere in pace. E questo luogo, per me, ha il suono del mare di Riccione, il fruscio del vento e il sorriso delle persone che incontro per strada. Qui, in questo angolo di mondo, ho imparato che c’è un tempo per ogni cosa, anche per fermarsi e ascoltare.
E forse, chissà, un giorno troverò anche il tempo per resistere.

Il viaggio di Dante

Cosa hai provato, o Dante,
quando hai raggiunto i meandri della Terra
e i suoi anfratti più bui,
dove l’afrore del dolore umano
era l’unico segno di vita?

Hai forse tremato,
nel vedere anime strette in catene d’ombra,
grida spente nell’eco dei secoli,
o hai camminato saldo,
sapendo che oltre quel buio
giaceva ancora la speranza?

Il dolore è un vento sordo,
che piega l’anima come fronda d’autunno,
eppure tu, poeta,
hai guardato negli occhi di quel vuoto
e hai cercato la scintilla nascosta,
l’ultimo battito,
il filo sottile che non si spezza.

Cosa hai provato, o Dante,
quando la terra si apriva sotto i tuoi passi,
e le urla del tempo ti scavavano il petto?
Forse hai sentito il freddo dell’eterno,
l’indifferenza delle stelle lontane,
o forse hai scorto, nel cuore del dolore,
il segno di una redenzione lontana.

Cosa hai provato, o poeta,
quando hai lasciato l’Inferno alle tue spalle?
Forse nulla di più
che l’eco di un battito,
che continua a vibrare,
come il canto delle stelle,
oltre il tempo e oltre la notte.

Mi manca l’aria

Ho prenotato l’esame da quindici giorni e il poco tempo che mi rimane prima di avventurarmici mi rende preoccupata e nervosa. Non so se sarò pronta ad affrontarlo.
Devo sottopormi a una risonanza magnetica e per me, così claustrofobica tanto da non prendere gli ascensori dove é possibile salire per le scale, è fonte di notevole disagio, mi manca l’aria.
Vado in farmacia.
«Dottore, devo sottopormi a una risonanza magnetica, ma questa volta non so se riuscirò a stare tranquilla e ferma per tutto il tempo necessario. Mi potrebbe dare qualcosa per calmarmi?»
Il farmacista mi guarda e poi dal suo retrobottega arriva con un flaconcino di un liquido a base di valeriana, biancospino e passiflora.
«Lo facciamo noi» mi dice «ne prenda 20 gocce un’ora prima della risonanza».
A casa leggo le indicazioni che ne consigliano trenta e decido che ne prenderò venticinque. Non si sa mai: questa volta ho proprio bisogno di un aiuto in più.
La mattina dell’esame arrivo al centro medico in anticipo, cammino nervosamente avanti e indietro nel grande atrio prima di pagare il ticket poi finalmente raggiungo la sala d’aspetto del reparto di radiologia. Zeppa. Più di otto persone stanno aspettando e la mia ansia aumenta, non ho idea se le gocce che ho preso faranno ancora effetto fra tanto tempo.
Dopo un’ora e mezza arriva il mio turno. Entro nello spogliatoio e già mi manca l’aria. Non so se questa volta ce la farò.
Mi spoglio, indosso il camice e mi presento al tecnico che mi ha appena chiamato.
«Si sdrai con la testa verso il tunnel, tenga le braccia lungo il corpo e stia ferma, questo è il campanello se dovesse avere bisogno», puntualizza.
Mi sdraio, sento il rullo che piano piano entra nel tunnel, chiudo gli occhi. Mi manca l’aria.
Mi dico che devo stare tranquilla altrimenti è tempo perso e tutto è da rifare.
Allora, come ogni volta, inizio a recitare il rosario nella mia mente, anche con le intenzioni per ogni decina e premo leggermente le dita sul lettino per contare le ave marie.
Dieci per i miei figli.
Dieci per i miei nipotini.
Dieci per mio marito perché ne ha bisogno da solo.
Mi manca l’aria. Prendo dei piccoli respiri con il naso, non profondi per non muovermi troppo.
Dieci per la mia famiglia di origine.
Dieci alla fine per me.
«Signora, abbiamo finito», dice il tecnico radiologo.
Il rullo piano piano mi riporta fuori da tunnel. Faccio un respiro profondissimo che muove tutto il mio corpo: anche stavolta ce l’ho fatta.
L’aria… invisibile e apparentemente inesistente eppure così necessaria, adesso non mi manca più.

Aries

Piccola scintilla
esplosa alla luce
di una nuova primavera
ardi di energia
il mondo
e infiammi
col tuo fuoco
i nostri cuori.
Segno caliente
tramandato
da generazioni
perpetui nel tempo
l’abbraccio infuocato
della vita.

Sveglia naturale

Ecco, sono tornati. Un po’ presto rispetto agli ultimi anni.
La mia sveglia naturale, la mia poesia mattutina.
Gli uccellini sugli alberi!
Nel passato mi svegliavo con il loro canto, e rimanevo nel letto per ascoltarli.
Mi alzavo e mi preparavo il caffe, la Moka. Poi assaporavo quel liquido scuro e bollente, fuori nel balcone. L’aria frizzante sul mio viso.
Sentivo l’energia diffondersi nel mio corpo e mi caricavo per tutta la giornata. Un leone pronto ad affrontare qualsiasi cosa.
Ora, mi svegliano troppo presto, dopo una nottata piena di sogni dove devo difendermi sparando e non riesco a caricare le munizioni. Forse gioco troppo agli spara zombie. Il mio sonno è spesso interrotto.
E poi mi mettono ansia. Si ansia. Purtroppo il loro cinquettio mi ricorda quei giorni in cui eravamo obbligati a restare chiusi in casa.
Sapevo che quel suono pre annunciava un’altra giornata uguale a quella di prima. Colazione e apertura del PC per lavorare in smart working. Pranzo in compagnia di mio figlio e poi ancora lavoro. Cena con mio figlio e letto. Giornate tutte uguali. Senza sapere quando saremmo usciti da questa crisi.
In effetti però ne siamo usciti.
E allora magari questa mattina mi farò un caffè e lo berrò fuori nel balcone.

Elogio

Ci conoscevamo da più di vent’ anni.
Sorrido al tuo pensiero. Di sicuro io conosco lati della tua vita che neanche la tua famiglia conosce.
Appena assunta ti chiamavo “Dottore”, lo pretendevi da tutti i tuoi dipendenti.
Ma da lì a poco, complice la mia sfrontatezza, ho ottenuto il permesso di usare il tuo nome in privato, e poi, più avanti, davanti a tutti.
Ti conoscevo bene. Sapevo cosa ti faceva arrabbiare e cosa ti compiaceva.
Un punto fermo della tua vita, la tua famiglia. Tua moglie e i tuoi figli.
Ci sono stati periodi che l’hai messa a rischio per un capriccio. Per lo stesso capriccio hai messo fine ad un’amicizia che aveva creato il tuo gioiello: la tua azienda.
Lei, la tua creatura. L’hai fatta nascere, modellata, nutrita. E quando è diventata grande e sicura ne hai fatto la tua sala giochi.
Tutto girava intorno ad un unico obiettivo. Chiudere l’ultima grande trattativa del momento. Non importava se si trattasse di acquisto e vendita di merci o di servizi. L’importante per te era sedersi al tavolo da gioco con gli altri giocatori. È come il poker, giocare con le tue carte, a volte bleffando. Alzarsi da quel tavolo sapendo di aver chiuso un affare.
Certo i soldi non li disdegnavi, anzi. Chi ti conosceva superficialmente ha sempre pensato che tu ammirassi il dio denaro, ma la verità era che ti sentivi vivo solo quando potevi giocare. I soldi erano solo una conseguenza di quanto eri bravo.
Nonostante gli ultimi tempi non lavorassi più in azienda, continuavi nel tuo privato a divertirti. Era più forte di te.
Era una giornata di sole, io stavo parlando di te con un cliente a pranzo, mentre i medici cercavano di salvarti la vita. Da li a poche ore, ricevevo la notizia che tu non c’eri più.
Ora sei nella tua ultima dimora. La terra ti accoglie. Tutto ciò che di terreno hai lasciato non lo puoi portare con te. Molti vedranno solo questo. Io con me porto l’esperienza che ti ho rubato per tutti questi anni.
Sorrido guardando il tuo ufficio vuoto. So che non tornerai, ma spero,  che in qualche modo,  mi guardi mentre chiudo la mia ultima trattativa e sorridi anche tu pensando che questo è anche un po’ merito tuo.

Brezza

Sfilo lo giacca, la butto sulla sedia, appoggio la borsa e resto qualche minuto nell’angolo scuro del soggiorno: ti guardo rimestare una pietanza che sobbolle nella pentola.
Cosa ci faccio qui come una ladra, non voglio altro che scappar via!
Spegni il fornello, metti il coperchio, vieni a salutarmi “Ciao Mara, non ti aspettavo tanto presto, niente straordinari questa sera?”. Adesso glielo dico il suo nome che non mi da pace gli dico che non mi sono mai sentita così viva prima di lui che con lui ho incontrato la donna meravigliosa che sono che è uno strazio separarci quando stiamo insieme.
Adesso glielo dico che sono qui pesche’ lui mi ha dato buca.- Un imprevisto- . SMS sul cellulare. -Non cercarmi chiamerò-.
Intanto stappi un prosecco, versi il vino, mi offri il calice prendi il tuo, ti seguo in terrazza. “ Sei bella, sai, come non ti vedevo da tempo”. Distolgo lo guardo, cerco le luci che calmano il buio al cielo.
Voci di ragazzi allegri accompagnano una leggera brezza avvolgente: porta con se il tepore della primavera e carezza l’inverno per allontanarlo.
La stessa brezza che ho visto oggi sconvolgere le giovani foglie di un Prunus, stuzzicarmi con il suo profumo intenso e sospingermi da te.
Un brivido mi corre lungo la schiena un senso di eccitazione, terrore, forse tenerezza. Sei bello così affaccendato in cucina con la t- shirt attillata e i capelli lunghi, li noto solo ora, ti vengo vicino ti tolgo la frutta dalle mani ti abbraccio.
Adesso te lo dico che ho bisogno di te che non devi lasciarmi sola che ti voglio bene che… non c’è niente di male se mi sono innamorata…passerà. Ti bacio, sai di ananas e per un istante, del nostro sapore ritrovato, ti bacio ti stingo ti bacio. Mi restituisci uno sguardo stupito mentre mi slacci la camicetta e io ti bacio ancora e ti voglio Luca. Prima che questa brezza svanisca per sempre.

Vaghar

Sono appena uscita dall’acqua, dopo aver nuotato da una riva all’altra del lago. Inzuppata fradicia e ansimante guardo la mia città dall’altra parte che brucia. Il fuoco prende il sopravvento su ogni cosa. Vedo gente che corre all’impazzata o che si butta in acqua. Sento le loro urla di paura, di dolore.
Nessuno cerca di spegnere il fuoco, sanno perfettamente che sarebbe tutto inutile.
Lui è ancora lì. Lui sta per tornare. Lui non si fermerà fino a quando l’ultimo edificio di Faluce sarà ancora in piedi.
Sento i polmoni che fanno fatica a riempirsi. E come se il vento avesse deciso di trasportare il fumo acre tutto nella mia direzione. Questa cortina scura e densa nasconde la luce del giorno.
Fisso il cielo sopra la mia città.
Una parte di fumo sembra muoversi.
Eccolo. Da quella massa gassosa compare il suo muso spaventoso.
La sua pelle dura e piena di spuntoni fa da contorno alla sua bocca semi spalancata. Mette in mostra i suoi denti aguzzi e affilati. Sembra mostrare un ghigno diabolico. Poco più sopra i suoi occhi rossi e malvagi contornati da dure corna.
Mentre avanza scorgo il suo collo lungo e sottile. Le ali spiegate e immense
Sembra puntare dritto verso di me. Il terrore mi assale, ma sono come ipnotizzata mentre guardo questo essere possente e maestoso.
Ad un tratto sembra cambiare idea e vira, tornando indietro.
La sua coda sinuosa sposta l’aria davanti a me talmente forte che a momenti cado.
Punta ancora verso Faluce. Appena sopra alla città apre le sue fauci e incomincia a sputare ancora fuoco
Non c’è speranza per chi è rimasto.
Lui è Vhagar, l’ultimo drago rimasto.

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