Ines è vecchia. Ha ancora il 6 davanti… Ma lei sa di essere vecchia.
Non sa che peso ha nell’anima e nel corpo per farla muovere così lenta, per farla rintanare sempre di più nel suo salotto, l’eterno centrino da finire tra le dita gonfie. A volte ci pensa, alzando lo sguardo dall’uncinetto che dondola, sul perchè è così vecchia.
Forse è stato tutto il lavoro nei campi di quando ero ragazzina, le gravidanze, i sacrifici. I figli sotto le braccia nei rifugi, coi bombardamenti sulla testa, che sa mai quando sarebbe toccato a loro. Le pentole vuote, i ragazzini affamati, le dita spaccate dal gelo, che a lavar panni di ricchi lungo il Naviglio, qualche soldo in più entrava in casa.
Forse ecco… è stata un poco giovane quando, ormai in pensione, coi soldi risparmiati e i figli sistemati, lei e suo marito Primo hanno deciso di realizzare l’unico sogno che si erano permessi.. lì custodito da così tanti anni. Lasciare Milano e tornare alla loro Emilia, così impressa nelle carni dell’anima da farli sentire forestieri ovunque, e costruire la loro casa.
Aveva, l’orto, il frutteto, il pollaio e la conigliera… lo scantinato per le sementi e gli attrezzi. È stato il Primo a costruire tutto, mattone per mattone, ripiano per ripiano.
Il Primo, che in un giorno qualsiasi, lui che mai si era ammalato, ha perso la luce negli occhi, si è messo a letto e mai più si è alzato. Ecco, quel giorno che è rimasta in piedi di fianco a quella fossa al camposanto, Ines è tornata vecchia.
Ha messo nei bauli tutti i vestiti del Primo, ha preso due ragazzoni che si occupano di tutto, e lei fa centrini tutto il giorno, nel salotto buono degli ospiti, dove ormai non ci entra più nessuno.
Si alza con fatica solo per metter su una pastina, un uovo sodo, e poi rimette l’uncinetto tra le dita, tanto prima o poi il Primo la viene a prendere. Ma un giorno è accaduto che una delle sue figlie, in eta’ in cui di gravidanze non se ne dovrebbero far più, ha messo al mondo questa nuova bambina.
E questa cosa proprio l’ha messa in subbuglio, turbando quella lentezza immutabile che lei ha deciso essere l’unico spazio in cui sopravvivere. Vengono tutti i fine settimana, la figlia, il genero e questa piccina che, Dio la perdoni, proprio la Ines non sopporta. Le vuole bene, certo, si deve voler bene ai nipoti, per forza è così.
E lei ci prova, ci prova veramente, ma appena la vede dalla finestra, che inizia a saltare dall’orto al granaio, e poi nel frutteto, e mette quelle manine dappertutto, il respiro le si fa corto, piena di fastidio nel petto per tutta quest’aria bizzarra che questa bimba sparge in giro.
Arriva poi un giorno in cui gliela lascian lì una domenica mattina: «Mamma andiamo ad una sagra di paese lontana, la bimba si annoia, la lasciamo con te va bene»?
Vorrebbe urlare Ines… che no, non va bene e proprio non vuole… Ma come sempre nella vita, sorride e annuisce. E inizia questa domenica terribile. Ines la chiama dalla finestra: «Bimba non andar lì, bimba lascia stare le galline che le spaventi, bimba esci dal granaio, che se se si rovescia un sacco ti schiaccia».
Ferma alla finestra, con il respiro veloce che appanna il vetro, Ines pensa che se poi la bimba si fa male, la figlia e il genero avranno da ridire.. Sospira esausta, posa il centrino e inizia a scendere le scale che portano all’orto.
«Bimba, bimba dove sei?»
Esce da dietro un muro, sudata, con la magliettina sporca di terra e questi occhietti da furetto che scoppiettano.
«Nonna nonna… Ho scoperto dei tesori bellissimi, te li faccio vedere, vieni vieni vieni..»
La tira per un dito, e lei vorrebbe scrollar via quelle manine sporche, e dirle che lo sa bene cosa c’è nella sua terra, che il suo Primo ha costruito pezzo per pezzo. Ma sorride di sforzo, e si fa trascinare nel granaio.
«Nonna prova, se infili la mano nei sacchi, i chicchi le si mettono tutti attorno e la accarezzano.. E poi nonna, se metti dentro la faccia e respiri, senti che profumo di pane e biscotti».
Sospira Ines: “Va bene lo faccio, magari poi la bimba si mette tranquilla”.
Non si ricordava cosa fosse infilare una mano nei sacchi… Il miglio, il mais, il grano, la crusca… Quel profumo di forno e di pastone. Segue la bimba ad ogni sacco, finché questa le prende ancora il dito e lo tira: «Ora nonna vieni a conoscere le galline, sono diventata amica di tutte».
E lentamente Ines arranca al pollaio, il dito stretto non da’ più così fastidio.
Ed ecco la Nerina, la Parlante, la Fosca, la Lulù… Perchè Primo dava a ciascuna un nome, anche se poi finivano tutte nella pentola. E le vengono attorno chiocciando, e riesce ad abbassarsi quel tanto che basta per sfiorare le loro piume.
Che non ricordava fossero così morbide.
La bimba ride e le tira il dito, perché a quella piccola età, c’è troppo da scoprire per soffermarsi su qualcosa… «Nonna l’orto, l’orto, vieni a vedere cosa ho trovato».
Cammina piano Ines, con le gambe gonfie… ed ecco i pomodori, le carote, le insalate. Gli alberi di susine, di pesche, di ciliegie.
La bimba davanti che saltella, e che poi le si pianta davanti con aria seria: «Ora nonna, la cosa più meravigliosa… Non si vede ma si sente… Inginocchiati di fianco a me». Mai avrebbe pensato la Ines di riuscirci, anche solo di provarci. Ma scricchiolando e gemendo, si ritrova accucciata di fianco alla bimba.
«Nonna, fai come me, infila le mani nella terra… È calda nonna, vuol dire che è viva». Infila le sue dita nella terra smossa e sì: è calda, è viva. La terra, la sua terra.
Che in una qualsiasi domenica d’estate, le ha ricordato di riprendere a vivere.
Scricchiolando e gemendo, Ines si tira in piedi.
«Bimba, andiamo, ti faccio la cioccolata». Non le tira più il dito, sorride e infila la manina nella sua.
E, pian piano, rientrano in casa.
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