Uomini pipistrello

Uomini pipistrello

La luce del fuoco illuminava i volti scavati e neri di fuliggine delle tre figure che sembravano assorte in una meditazione penosa. Ognuna di esse respirava lentamente, attenta a dosare l’ossigeno nelle bombole messe a disposizione dal Governo. Per loro, Bats, uomini  pipistrello, era prevista una quantità di ventiquattro ore. Non un secondo di più. Bisognava stare attenti, centellinare il fiato. Era perciò, ad esempio, che era loro vietato avere nomi più lunghi di quattro lettere. Solo i Notabili potevano arrivare fino a sei. C’erano molte altre cose vietate ai Bats e permesse ai notabili. Come avere un figlio. Ai ricchi ne era concesso uno per coppia.

Si chiamavano Bats, perché come pipistrelli vivevano e a questi, ormai, assomigliavano.

Abitavano le fogne di una metropoli pressoché abbandonata. Tutte le città si erano svuotate di gente. Morivano, semplicemente.

Gli alti grattacieli erano stati trasformati in orti o allevamenti.

Molto cibo era per i notabili, poco per gli uomini pipistrello. Come l’ossigeno, che scarseggiava di giorno in giorno.

Non per i notabili che addirittura facevano feste, si ubriacavano d’aria.

I Batsi potevano girare solo di notte e solo nei limiti segnalati da cartelli fluorescenti, lontano dai quartieri alti. Di giorno,vivevano nelle tubature e passavano la maggior parte del tempo a dormire in amache che pendevano dal soffitto. In alto, si poteva respirare meglio. Prima di ritirarsi nei giacigli appesi, disseminavano il terreno di trappole per topi. Quella carne schifosa andava ad aggiungersi al cibo scarso fornito una volta al giorno insieme all’ossigeno

Tutto, in quei recessi bui, era nero per via della fuliggine. Volte nere, amache nere, facce nere.

In quel momento, dove fuori era mattino, tre persone stavano parlando davanti a un fuoco celato sotto pochi teli. Avevano un problema maggiore della carenza di ossigeno o di cibo: Leda, la donna più giovane, era incinta. Al suo fianco, Miro, padre del bambino. Di fronte, Gala, madre di Miro.

Era semplice nascondere la gravidanza di una Bat. Nessuno veniva mai a fare controlli così specifici. Piuttosto mandavano droni per contare i capi. Tante bombole quante teste.

Il problema veniva dopo la nascita.

Leda, Miro e Gala avevano lungamente sperato nella coincidenza che Tom morisse a ridosso del parto. Ma il vecchio se n’era andato troppo presto e, al momento, nessun’altro sembrava avere intenzione a tirare le cuoia.

Se Tom fosse morto con qualche settimana di ritardo, avrebbero praticato un cesareo: il capo del vecchio passava sul neonato.

Lo avrebbero chiamato Hope, speranza, sia fosse stato maschio, sia femmina.

Era da molto che non nascevano bambini Bats. Nessuno voleva una bocca in più da sfamare e da far respirare: Leda, Gala e Miro dovevano sbrigarsela da soli.

«Neo dep tanord», diceva sottovoce Miro, attento a dosare le lettere. Un nuovo deposito presso la tangenziale nord, voleva significare.

«Bite», aveva risposto Leda.

I Bite erano droni di terra. Viaggiavano a duemila chilometri orari intorno ai depositi di ossigeno. La forma ricordava uno scarafaggio e avevano antenne che potevano cogliere movimenti a centinaia di metri, terra o cielo. Volatilizzavano ogni cosa o persona non riconosciuta. Chi era intercettato, aveva dieci secondi di tempo per fornire matricola e riconoscimento facciale. I Bats avevano tutti lo stesso numero: 111. Fine sicura. Nessuno andava per il sottile se moriva un Bat.

«Rap notab», aveva detto Miro intendendo ‘rapire un notabile’. Ormai le parole erano tagliate, i verbi omessi dove possibile. Si parlava mentre si espirava. Le voci strozzate erano sempre più simili agli stridi dei pipistrelli.

«Notabite», aveva sussurrato Gala. Gala era vecchia, quasi cinquant’anni. Diventava nonna. Il suo sogno. Ciò che intendeva per notabite era che anche i notabili avevano al loro seguito almeno un Bite.

Miro si alzò lentamente. I muscoli tendevano ad atrofizzarsi e i tendini ad allungarsi. Le braccia, le gambe lunghe e sottili, sembravano lanciarsi dal breve busto. Sempre più pipistrelli senz’ali.

Camminava piano, Miro, attento a non svegliare gli altri. Si era fermato in prossimità del loro rifugio: tre pareti e il soffitto in telo agricolo delimitavano l’area a loro disposizione. Rif, li chiamavano ed erano meno che capanne. Il loro Rif era di tre metri per tre. Ogni Bat aveva un metro a disposizione. Se si univano, potevano sommare i metri. I Rif erano ricoveri e latrine al tempo stesso. Nei secchi si facevano i bisogni, con la cenere ci si lavava, a terra si curavano i malati. In caso di necessità, nei Rif era addirittura possibile farsi operare da qualche chir. Miro era il chir che aveva operato il vecchio Tom. Per questo sperava di portare avanti la sua esistenza sino alla nascita di Hope. Ma l’uomo era morto quando Leda era ancora alla trentesima settimana. Troppo presto.

Miro tornò dalle donne con un involto nelle mani: «Nobit», aveva detto scostando i lembi della stoffa sporca.

Le donne guardarono l’oggetto che Miro teneva. Sembrava un piccolo armadillo argentato. Sul dorso, si riflettevano i bagliori del fuoco.

Miro fece cenno di seguirlo. Andarono verso una breccia nella parete nera. La luce entrava diafana, ma lo stesso ferì i loro occhi. Miro liberò il piccolo robot dopo avergli assegnato le coordinate del rione di ricchi più vicino.

Il nobit era rientrato dopo un po’, illeso. Non era stato intercettato. Incredibile.

Le donne esultarono silenziose.

Qualcuno si era svegliato e aveva iniziato a protestare verso di loro: ancora attivi, rubavano ossigeno.

«Nana», disse Gala indicando le amache: ora di dormire. L’indomani avrebbero studiato un piano. Miro aveva già messo da parte un foglio di carta, una rarità ottenuta in cambio di una tracheotomia.

Servivano coordinate precise per fiondarsi su qualcuno, usarne i riferimenti e rilasciarlo dopo il colpo al dep: cento bombole bastavano al bambino per un anno intero. Nel frattempo, qualche Bat sarebbe morto.

Non era quello il problema.

Monica Caprari

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