Il vento del cambiamento

Il vento del cambiamento

Adele si avvicinò alla scogliera arrancando, combattendo contro il vento che le sbatteva in faccia con violenza terriccio misto a spuma di mare e la colpiva con la stessa forza delle sue disillusioni.
Si era alzata presto, la giornata ottobrina era fredda e foriera dell’autunno che stava avanzando a passo veloce.
Quando aveva aperto la finestra era ancora buio e il rumore del vento fra le foglie, più che il respiro del Cosmo, le aveva richiamato alla mente un urlo di dolore della natura, violentata dalla furia degli elementi che la sferzavano senza pietà.
«Proprio come mi sento io – aveva pensato con amarezza – violentata dai ricordi che mi trascinano con la forza del vento verso un destino ineluttabile…»
Un destino segnato fin dalla nascita a causa di un carattere troppo condiscendente dettato dalla sua forte empatia.
Adele non aveva mai amato contrapporsi o causare infelicità. Tutto ciò che le persone intorno a lei provavano la colpiva con la forza di un pugno nello stomaco, sia i momenti di gioia che, soprattutto, quelli di dolore o di angoscia. Per questa ragione si era da sempre adoperata a rendere a vita degli altri attorno a sé la più serena possibile, anche a discapito di quello che poteva provare lei.
«È così che mi sono inguaiata. Che bel dono che mi ha fatto l’Universo!» si trovò a realizzare con un sospiro.
Si aggrappò alle rocce lucide di pioggia come a un’ancora di salvezza contro la forza del vento che pareva volerla respingere, ricacciare indietro in quel mondo dal quale lei stava disperatamente cercando di sfuggire.
Trovò riparo fra le sporgenze e si sedette, combattendo la sensazione di ostilità che le proveniva dalla dura pietra sulla quale aveva trovato riparo. Vincendo un senso di vertigine, socchiuse gli occhi per riuscire a guardare verso il basso.
Le onde spinte dal maestrale si infrangevano con forza contro la scogliera, innalzando una spuma bianca e nera che pareva minacciosa e rassicurante al tempo stesso.
Adele fissò quello spettacolo della natura percependone la similitudine con il proprio stato d’animo.
L’indomani sarebbe stato il grande giorno, si ricordò con un senso di malessere. «Dovrò lasciare la mia casa – pensò – non riesco davvero a credere che accadrà veramente».
La casa, dove Adele era nata e vissuta per tutta la sua vita, aveva finalmente trovato un acquirente e il giorno seguente si sarebbe trovata dal notaio per firmare il documento di cessione. Era sembrata a tutti la scelta più logica: anni di incuria, un clima inospitale per la maggior parte dell’anno e il graduale ma inesorabile abbandono del borgo della maggior parte dei suoi abitanti avevano reso del nome del paese, Villa Gioiosa, un drammatico ossimoro.
Villa Tristissima avrebbero dovuto chiamarla, pensò con un sorrisetto sardonico. Eppure poteva ricordarsi di quanto lei e i suoi, un tempo, fossero stati felici. Sentiva ancora le risate dei bambini, il vociare della folla quando si radunava nei giorni di festa, la musica e il profumo del cibo che usciva dalle finestre aperte per richiamare velocemente tutti quanti al desco famigliare.
Poco alla volta se ne erano andati tutti: i suoi fratelli, i suoi genitori e, in una come da una lenta e inarrestabile emorragia, ad uno ad uno, gli altri abitanti del paesino.
Solo lei aveva resistito così a lungo, trincerandosi dietro al fatto che, lavorando al computer, non aveva bisogno uscire di casa.
«Ti stai trasformando in un’eremita, devi andartene da lì!», la rimproveravano parenti e amici, i pochi che le erano rimasti. Ma lei, fra quelle mura, si era sempre sentita nel posto giusto.
Soprattutto, lontana da un’umanità che continuava a chiederle di partecipare alle proprie esigenze, fagocitando le sue.
Era stato proprio a causa dei suoi, per non sentire più la loro preoccupazione, che aveva deciso di vendere e di trasferirsi in città, come avevano fatto gli altri prima di lei.
L’imprenditore che aveva acquistato ne avrebbe fatto un resort di lusso, una Spa isolata dove ricchi e annoiati clienti avrebbero trascorso le loro rilassanti vacanze lontani da occhi indiscreti.
La sua casa sarebbe stata violentata. Questa consapevolezza aggiungeva dolore al suo dolore.
A quel pensiero sentì gli occhi bruciarle.
Mentre lottava per trovare il respiro contrastando il vento che le sferzava il viso con forza, si ritrovò a canticchiare una canzone di De André: «Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria. col suo marchio speciale di speciale disperazione…».
In direzione ostinata e contraria… come il vento che la respingeva… come i suoi pensieri che respingevano il vento…
Restò a lungo immobile, resistendo al freddo che incombeva, senza più riuscire a distinguere le sue lacrime dalle gocce delle onde, entrambe salate, entrambe vitali.
«Non vendo più! Non lo farò!» urlò con tutta la forza che aveva in gola.
Il vento è cambiato, finalmente anch’io andrò in direzione ostinata e contraria! Pensò sorridendo, con il cuore che le batteva forte in petto, sentendosi per la prima volta in vita sua libera e viva.

Valeria Giacomello

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