Seduta sulla barca.
Guardo il più incredibile mare che io abbia mai avuto sotto gli occhi.
Tutti si buttano… Chi si tuffa, chi si cala dalla scaletta.
Nessuno fa caso a me, tutti presi a nuotare e starnazzare.
Neanche l’acqua fa caso a me, né alle mie dita aggrappate al bordo della barca.
Mi canto le solite filastrocche.
Non importa.
Non e’ necessario.
Non è fondamentale.
Anzi, il bagnato, il sale sono sempre vagamente fastidiosi.
Ma non so che giorno è oggi, però le mie bugie hanno il suono stridulo di una campana rotta.
E il mio corpo senza permesso, si alza, mette le mani sul bordo della scaletta e inizia a scendere… L’acqua che gli accarezza il ventre e le cosce.
Ora gli urlo qualcosa.
Cosa fai, come osi.
L’acqua è pericolosa.
Non respirerai.
Soffocherai.
Annegherai.
Morirai.
Sarai inghiottito e annientato.
Ma davvero non so che giorno è oggi, questo corpo non mi ascolta.
E mi sporgo per recuperarlo, per tirarlo in salvo, sciagurato senza senno.
Ma scivolo piano anch’io, l’acqua che avvolge, e confonde, e lava la paura.
L’acqua che per la prima volta fa caso a me…
Mi sorride, mi abbraccia, mi accoglie, mi sostiene.
Apro le braccia, mi lascio andare e riprendo a respirare.
E me ne sto li’ stupefatta come fosse il primo giorno di una vita nuova.
L’acqua ci tiene.
Me e la mia paura.
E mi sfascio la bocca in un sorriso, il viso bagnato, il sale dell’acqua e delle mie lacrime.
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