Archivia 14 Gennaio 2023

La neve

Racconto al femminile

 

L’anziana sarta si privava spesso della gioia, in nome delle convenzioni, in nome del risparmio, in nome della mancanza di prospettive.

Anche quel giorno, per esempio, a metà mattina aveva abbassato le tapparelle del soggiorno, finestra e porta-finestra, per ricreare la penombra che non avrebbe intaccato i delicati tessuti di seta con cui aveva cucito i cuscini multicolori che adornavano il suo divano. Non solo, c’era anche la raccomandazione del governo tedesco, che si appellava al senso di responsabilità dei propri cittadini per risparmiare energia, in particolare sul riscaldamento.

Poco importava che la sua giovane ospite, arrivata dall’Italia il giorno prima, appollaiata sul divano-letto, fosse rapita dallo spettacolo della neve che, leggera e silenziosa, cadeva fino a ricoprire la cappella tardo-gotica e il suo campanile a cipolla di uno strato bianco, avvolgendoli in una morbida coltre.

Le due donne si guardarono negli occhi: per un momento i due opposti si toccarono; la giovane votata a raccogliere frammenti di piacere a piene mani, l’anziana quasi spaventata dalle occasioni di bellezza alla sua portata.

La tapparella si avvolse verso l’alto con un rombo, il candore della neve inondò il soggiorno e avvolse di bianco ogni cosa.

La vetrina

Era una giornata dal cielo terso nella mia bella città d’adozione: Berlino mi stordiva già con il frastuono del traffico. Come ogni mattina mi affrettavo a raggiungere il posto di lavoro con passo incalzante: temevo il solito ritardo. Il mio sguardo si volse distrattamente oltre la vetrina di un caffè. Un giovanotto seduto su uno sgabello aveva un’aria dimessa e triste. Stavo quasi rallentando il passo con l’intento di entrare nel bar per chiedergli cosa mai potesse essergli accaduto… Ma accidenti, mi accorsi che era tardi e allora non mi fermai.
Fuori dal caffè una ragazza si toccava i lunghi capelli setosi, piangendo. Forse conosceva il giovanotto triste.
Ancora una volta fui sul punto di fermarmi per cercare di aiutarli. Ero convinta che si conoscessero e che fossero in crisi. Avrei fatto qualsiasi cosa per riavvicinarli… questo avrebbe rasserenato anche la mia giornata.
L’orologio segnava le otto e mezza! Corsi a perdifiato per evitare il semaforo rosso e arrivai in ufficio in ritardo. Se avessi raccontato al capufficio dei due ragazzi forse non si sarebbe infuriato; invece passai un brutto quarto d’ora.

Gli starnuti di Antonio

Mi chiamo Antonio. Sono single non per mia scelta. Ho raggiunto la soglia dei cinquant’anni. Sono un bell’uomo con capelli brizzolati e riccioluti.
Colleziono collari per cani di piccola taglia che raccolgo in una teca in bella vista nella sala da pranzo. Alcuni sono impreziositi con pietre e gemme luccicanti.
Ho sempre sognato un piccolo cagnolino da coccolare, ma ero un camionista e il mio lavoro non mi ha mai consentito di averne uno. Per consolarmi, nel periodo estivo aiutavo Gianni, un mio amico, nel suo negozio di toilette per cani.
Un bel giorno Gianni mi propose di entrare in società con lui. Accettai di buon grado. Ero al settimo cielo! Ero entusiasta di avere lasciato quel mostro di camion, che non faceva altro che macinare chilometri e chilometri di asfalto con me, rendendo le giornate rumorose e solitarie.
Era bello alzarsi di mattina presto per dedicarsi alle piccole cose quotidiane e poi correre dalle creaturine che mi aspettavano, perché sapevano che le avrei dispensate di coccole.
Da quando mi misi in società con Gianni, non passarono molti giorni che mi scoppiò un fortissimo raffreddore. Quanti starnuti! Non ci crederete, ma era il primo raffreddore della mia vita! Presi delle pastiglie per farmelo passare, perché mai e poi mai avrei potuto pensare di mancare un giorno dalle mie adorate bestioline. Peggioravo sempre più, finché non mi decisi di consultare un medico. Indovinate qual era la diagnosi, che per me era quasi una sentenza di morte? “Allergia al pelo del cane”!

Il rigattiere dei sogni

Un giorno, nella casetta di campagna del mio paesello d’origine, decisi di riordinare la soffitta e di mettere da parte alcune cose che avrei portato a Giovannino il rigattiere. Così lo chiamavano in paese. Era un tenero e simpatico ometto che, tra una pedalata e l’altra, guidava un triciclo carico di carabattole da portare al mercato della domenica, racimolando qualche moneta per arrotondare lo stipendio.

Era un’impresa assai ardua pensare di entrare in quella soffitta dimenticata, piena di ragnatele… e chissà, tra un baule e l’altro avrei trovato delle pantegane morte, ragni stecchiti… al solo pensiero rabbrividivo.

Infilai un paio di guanti e una mascherina, un paio di pantaloni consunti di mio marito che puzzavano d’erba appena tagliata, e mi misi all’opera.

Con mia grande sorpresa, accanto a grossi bauli c’era una cassettiera colorata e un po’ naïf, forse ereditata da mia zia Ginny, un tipo originale. Ero curiosa di scoprire cosa ci fosse in quei sette cassetti, ma avevo il terrore di trovare uno di quei pipistrelli che una sera si era intrappolato tra i capelli di mia zia. Mi feci coraggio e aprii il primo cassetto dove c’era un quaderno sgualcito e ingiallito, la cui copertina riportava questo titolo: “Il libro dei sogni”. Lo sfogliai e, con mia grande sorpresa, constatai che non c’era scritto proprio nulla… completamente vuoto!

Pensando al passato provai una sottile nostalgia che subito si trasformò in un desiderio irrefrenabile di aprire gli altri cassetti. Avrei ripercorso la mia vita con gli oggetti che avrei ritrovato.

Faticai ad aprire il secondo cassetto che si era incastrato. Insistetti finché non riuscii ad aprirlo. Conteneva una scatola impolverata sulla quale c’era scritto: “Aprimi per scoprire la direzione da prendere nella vita”. Era una bussola. L’avevo acquistata al mercatino delle pulci di Parigi.

Nel terzo cassetto c’era un album di fotografie. C’era scritto: “Noi ti abbiamo accompagnato nel tuo passato”.  Lo sfogliai e mi commossi rivedendo i miei nonni che non ci sono più. In un’altra pagina dell’album i miei genitori sorridenti tenevano in braccio una bambina: ero io! E come erano giovani e belli la mamma e il papà! Sparpagliati nel cassetto, fuori dall’album, c’erano le foto di amici e colleghi di lavoro… Quanti ricordi! C’erano anche tante foto delle Dolomiti, dove adoravo trascorrere le vacanze estive e le settimane bianche prima con gli amici, poi col mio fidanzato, ora mio marito.

Nel quarto cassetto c’erano le mie poesie giovanili che avevo cercato per mare e terra, e dov’erano finiti? Qui, in soffitta!

Nel quinto cassetto c’erano parecchie medaglie che avevo vinto da ragazzina, quando mi cimentavo nelle corse campestri. Una in particolare, portava un’incisione con il numero cinque (perché ero arrivata al quinto posto) nella mia prima competizione, nella quale aveva partecipato tutta la scuola. Ma mi era costato caro questo quinto posto! Mia mamma, a pranzo, non immaginando quello che mi sarebbe capitato, mi cucinò polenta e brasato e, senza concedere tempo al mio stomaco per digerire il tutto, andai dritta al campo dove si svolgeva la gara e, ahimè, poco prima del traguardo, anche il terreno condivise in qualche modo la mia polenta con brasato.

Nel sesto cassetto c’era Andrea, il mio primo bambolotto col profumo di gomma della Furga! I miei genitori me lo regalarono per Natale, quando avevo sei anni. Mia mamma aveva racimolato pazientemente le seimila lire per comprarmelo.

Finalmente arrivò il momento di aprire l’ultimo cassetto… C’era un odore nauseabondo di muffa. Con i guanti tolsi la polvere e scoprii degli spartiti musicali: pezzi per coro e orchestra, vecchie canzoni del Festival di Sanremo, di cui non perdevo nessuna edizione. Andavo in edicola a comprare i testi delle canzoni, in quei libretti col casinò in copertina. Ora è giunto il momento di tirare fuori da questo cassetto il sogno mai realizzato e togliere la muffa.

Raccolsi tutto il materiale con cura e lo misi in un baule, un ricordo di mia nonna.  Caricai la cassettiera nell’auto e la portai da Giovannino. Sicuramente qualcuno la riempirà di sogni, sperando che non facciano la muffa.

Il giorno dopo mi presentai alla segreteria di una scuola musicale per iscrivermi a un corso di canto. Ero circondata da ventenni che mi guardavano incuriositi. Anch’io mi sentivo come loro, perché le passioni non hanno età.

Non sei fantasia

Impugni le spade nel buio della notte e con abilità intrecci affilati colpi d’acciaio, stendendo filo spinato lungo le mie spalle.

Solchi l’anima con braci incandescenti.

Subdola nemica, ti presenti senza preavviso.

Spero che te ne vada via, ospite indesiderata, invadente…

Mi arrendo a un dolore prepotente, sordo, cupo come le notti insonni che offuscano la mia mente.

Tra le coltri infuocate mi rigiro sfinita, con la speranza di assopirmi, almeno per pochi attimi cullata dalle onde del mare, sognando quella leggerezza che non mi appartiene più.

Voglio tornare alla quotidianità dimenticata.

Non pretendo di sconfiggerti, so che perderei la battaglia.

Ti subisco, ma intendo denunciarti a un mondo che rifiuta di vederti.

Per quanto tempo ancora verrai ignorata, maledetta fibromialgia?

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