La mia più grande paura è di non riuscire più a permettermi di vivere nella casa in cui sono cresciuta, la casa dei miei genitori e della mia giovinezza, la casa dei ricordi e delle insofferenze, del giardino e delle continue migliorie.
Questa casa mi tiene ancorata al mio destino e alle mie paure, è in fondo la misura della mia vigliaccheria. Non solo, è anche ben al di sopra di un’impronta di anidride carbonica accettabile e, forse proprio per quello, mi fa sentire una gran dama.
Questa casa, che mai sarei stata in grado di acquistare e che mi è stata lasciata in eredità, rappresenta il cordone ombelicale che mi collega alla mia terra, al mio Paese, a quel che resta della mia famiglia.
Questa casa mi dà sicurezza e al tempo stesso è la causa delle mie paturnie, delle mie insonnie notturne, delle mie angosce per il futuro; mi dà al tempo stesso continuità e senso di appartenenza, mi aiuta a camminare diritta per la mia strada, senza cedere alle tentazioni di un mondo ormai impazzito. Queste pareti, intrise di ricordi e di voci familiari, emanano una fiducia incoraggiante, sussurrano le parole buone di mio padre e le urla gioiose di mia madre, sono lo scalpiccìo delle zampe bianche di Yuri, le corse pazze di gioia di Puffy, il profumo pomeridiano della Oma su per le scale. Questa casa è tutto quel che resta di noi, dopo che ce ne saremo andati, forse è per quello che è così difficile immaginare di separarmi da essa.
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